In base al rapporto di collaborazione tra le due testate, Il Domani d’Italia e Orbisphera, pubblichiamo il testo integrale dell’editoriale di Antonio Gaspari, direttore di Orbisphera.
Era il 9 maggio 1993 quando, nella Valle dei Templi di Agrigento, Giovanni Paolo II condannò in maniera esplicita la mafia, invitando i suoi membri a convertirsi e intimando loro: «Verrà il giudizio di Dio!».
I capi mafiosi non gradirono le parole del Papa e, poco dopo la mezzanotte del 27 luglio 1993, un’autobomba esplose davanti alla basilica di San Giovanni in Laterano. Contemporaneamente un’altra auto imbottita di tritolo venne fatta esplodere davanti alla chiesa romana di San Giorgio al Velabro. In entrambi i casi vi furono gravissimi danni, con un totale di 22 feriti.
A conferma dell’arroganza e della protervia del crimine organizzato, nel settembre del 1993 la mafia a Palermo uccise don Pino Puglisi, e nel marzo del 1994 la camorra a Casal di Principe uccise don Peppe Diana.
Inoltre in alcune diocesi e parrocchie l’influenza dei boss mafiosi sul clero locale rimaneva forte.
Purtroppo la commistione tra mafia e religione è un problema serio e radicato.
A questo proposito, il 13 maggio, intervenendo alla presentazione del primo Rapporto del “Dipartimento per la legalità” della Pontificia Academia Mariana Internationalis (Pami), l’ex Procuratore capo di Roma e attuale Presidente del Tribunale dello Stato Vaticano, Giuseppe Pignatone, ha spiegato la commistione tra mafia e religione.
Il “Dipartimento per la legalità” è un organismo istituito nel settembre 2020 per lo studio e il monitoraggio dei fenomeni criminosi e mafiosi. Nella lettera inviata nel luglio 2020 a padre Stefano Cecchin, Presidente della Pontificia Academia Internationalis, Papa Francesco chiedeva di «liberare Maria e la figura della Madonna dall’influsso delle organizzazioni malavitose».
Pignatone ha ricordato che esponenti di gruppi mafiosi sono coinvolti e addirittura promotori di manifestazioni popolari e religiose, processioni e feste patronali.
Diffuso e frequente anche il linguaggio religioso utilizzato dai mafiosi. Per esempio – ha spiegato Pignatone – l’iniziazione degli affiliati alla ‘ndrangheta viene chiamata “battezzo”.
Quando Pignatone entrò nella casa del boss mafioso Bernardo Provenzano, contò circa 170 santini; la Bibbia era sottolineata e forse usata come cifrario.
I “pizzini” scritti da Provenzano si aprivano e chiudevano con frasi come: “sia fatta la volontà di Dio” o “in nome di Cristo”, e poi magari ordinavano assassinii.
Secondo il Presidente del Tribunale dello Stato Vaticano, si tratta di manifestazioni di apparente religiosità, sovrastrutture permanenti per camuffare la reale essenza della mafia.
I giovani mafiosi vengono fatti crescere con questa cultura religiosa che è profondamente anticristiana.
Ha detto Pignatone che si tratta di «una radicale opposizione al Vangelo che viene fatta passare come modo normale di vivere nella Chiesa; un condizionamento al quale sono soggetti anche coloro che diventeranno preti e religiosi».
Per sconfiggere la mafia – ha concluso l’ex Procuratore capo di Roma – c’è bisogno di «un cambio di mentalità nella Chiesa e nella società civile. Polizia e magistratura sono in prima linea, ma non devono essere i soli».
Un deciso cambio di passo nella lotta per liberare la Chiesa e il territorio dalle influenze mafiose lo ha fatto Papa Francesco, che fin dall’inizio del suo pontificato ha dato seguito all’azione coraggiosa di Giovanni Paolo II.
Il 21 giugno 2014, di fronte a 250mila persone nella piana di Sibari, in occasione della sua visita in Calabria, Papa Francesco ha detto: «Coloro che nella loro vita hanno questa strada di male, i mafiosi, non sono in comunione con Dio: sono scomunicati».
Il 15 settembre 2018, a Palermo, Francesco si è rivolto ai mafiosi dicendo: «Convertitevi! O la vostra vita andrà persa». Ed ha aggiunto: «Non si può credere in Dio ed essere mafiosi. Chi è mafioso non vive da cristiano, perché bestemmia con la vita il nome di Dio-amore. Oggi abbiamo bisogno di uomini d’amore, non di uomini d’onore; di servizio, non di sopraffazione; di camminare insieme, non di rincorrere il potere. Agli altri la vita si dà, non si toglie».
Per quanto riguarda l’organizzazione interna della Chiesa, è stato Papa Francesco a nominare Giuseppe Pignatone, uno dei magistrati più esperti e capaci nella lotta alla mafia, come Presidente del Tribunale della Città del Vaticano.
Francesco ha beatificato don Pino Puglisi, prima vittima di mafia riconosciuta come martire della Chiesa. Ed ha beatificato anche Rosario Livatino, il giovane magistrato siciliano ucciso dalla mafia nel 1990.
Domenica 9 maggio, durante l’Angelus, Papa Francesco ha posto l’accento sul significato della beatificazione di Rosario Livatino, indicando nel giovane giudice «un esempio e uno stimolo per tutti i magistrati a essere leali difensori della legalità e della libertà».