Articolo già apparso sulle pagine di Civiltà Cattolica

Il contesto dell’articolo. L’articolo riprende il tema della fine della civiltà occidentale, già presente nella grande saggistica del Novecento, anche alla luce di alcune pubblicazioni di anni recenti.

Perché l’articolo è importante?

L’articolo innanzi tutto rileva che alla contemporanea esperienza della precarietà e dell’impotenza contribuisce, per la sua parte, l’incertezza diffusa degli equilibri sociali e politici, interni e internazionali. Secondo l’autore questo è il terreno sul quale fiorisce la cosiddetta «cul­tura apocalittica»: Anticristo, fine della civiltà, prossima epoca di bar­barie, fine del mondo.

Successivamente l’autore si concentra in particolare sul tema della «fine della civiltà». Illustri storici e pensatori se ne sono occupati specifi­camente, senza riferirsi a concezio­ni apocalittiche, della fine, vera o presunta, della civiltà occidentale. E considera, mettendolo a confronto, il diverso pensiero di tre di essi: Oswald Spengler, Benedetto Croce e Johan Huizinga; ossia, in estrema sintesi, il pessimismo, l’ottimismo e la spe­ranza.

Nel rilevare che appare più vicina al nostro sentire, alla nostra espe­rienza, l’analisi di Huizinga – che immaginava tra l’altro un ruolo nuovo e positivo delle religioni, in tempo di crisi dell’Occidente –, l’articolo sottolinea però che il pensiero dei tre autori mo­stra comunque due limiti evidenti. Si tratta di pensatori e scrittori eurocentrici e di un eurocentrismo ferito e corrotto dalle piaghe delle dittature, del militari­smo, delle guerre.

Insomma, la civiltà che abbiamo conosciuta tramonta e, attraverso le sue crisi, si trasforma, senza poter morire. Come dice il Papa alla luce della fede cristiana, non esiste ca­sualità, non ci sarà il caos.

Quali sono le domande che l’articolo affronta?

  • È davvero finita la civiltà occidentale?
  • Se finisce una civiltà, un’epoca, siamo destinati al caos?

Qui l’articolo completo