L’autore di questo scritto ha concentrato finora, in varie sedi e forme, la sua attenzione sull’alternativa cattolica al progressismo di tipo radical-socialista. Ora, il “ritorno a Sturzo” che qui ripropone, con uno sforzo di fedeltà alla lezione del prete calatino, indica la strada di un “centrismo europeista” (il riferimento è ovviamente alla Cdu tedesca) che fissa il confine anche a destra, quindi con il rifiuto del sovranismo. Ne deriva una proposta più equilibrata, che fa del popolarismo una piattaforma di elevazione democratica, quantunque venata di un risorgente motivo  integralista. Non è dunque la nostra proposta, quella che traluce dall’insieme dei contributi che appaiono quotidianamente su questo foglio digitale, ma costituisce entro tale cornice politica un rispettabile punto di interlocuzione (L. D.)

In riferimento al problema lungo e doloroso della diaspora dei popolari e cattolici, mi corre l’obbligo di dire che i punti di riferimento che noi Popolari abbiamo sono esattamente quei partiti che hanno nel loro statuto il riferimento concreto al PPE e che sono Forza Italia, l’UDC e il Popolo della famiglia. Altre tendenze, mode o inserimenti non appartengono al partito popolare.

Con tanta fatica, delusioni e abbagli, constatiamo che partiti “cosiddetti liberal-democratico-socialisti”, per essere chiari, Italia viva di Renzi e azione di Calenda, non appartengono alla storia del popolarismo e mi stupisco che certi settori anche cattolici li riconoscano appartenenti all’area popolare. Forse ciò dipende dalla fluidità del sistema politico attuale, dove assistiamo alle più grandi e illustri migrazioni da sinistra a destra e viceversa di tanti parlamentari in ogni legislatura o, come di recente, al fenomeno dei cosiddetti migranti economici della politica da Ciampolillo ad altri.

È evidente che i popolari non sono ne’ moderati, ne’ socialisti e ne’ liberali. Può il popolarismo di Sturzo essere germe di un impegno cattolico e laico allo stesso tempo, capace di mettere in campo capacità organizzative e di resistenza ai poteri che sono inclini a violare le libertà fondamentali della persona, a ostacolare quelle della libera impresa e a limitare la famiglia nella sua funzione di architrave della società umana?

La risposta è si. Scrive Don Sturzo in un articolo pubblicato nel 1949, in La Via, dal titolo Moralizziamo la vita pubblica: “Non è moderno il male di una vita pubblica moralmente inquinata: sotto tutti i cieli, in tutte le epoche, con qualsiasi forma di governo, la vita pubblica risente i tristi effetti dell’egoismo umano. Quanto è più accentrato il potere e quanto più larghi sono gli afflussi del denaro nell’amministrazione pubblica (Stato, enti statali e parastatali, enti locali), tanto più gravi ne sono le tentazioni. (…) Ma c’è un altro pericolo, ancora peggiore, quello della insensibilità del popolo stesso di fronte al dilagare dell’immoralità nell’amministrazione dello Stato, sia perché attraverso partiti, cooperative, sindacati, enti assistenziali e simili, coloro che hanno in mano i mezzi dell’opinione pubblica partecipano alla corruzione dei politici o si preparano a parteciparvi con l’alternarsi dei partiti…; ovvero perché tutto il potere e tutti i mezzi di opinione pubblica sono in mano ai governi, com’è nei Paesi totalitari”.

Perché ricominciare da Sturzo?

Don Luigi Sturzo è anello di congiunzione fra cattolici e laici e sviluppa una concezione fondata sulla funzione essenziale dei comuni con due aspetti essenziali: la proporzionale elettorale che è la distruzione della “clientela personale “, cioè del baronaggio politico e la libertà della scuola che è la rivendicazione del magistero spirituale della Chiesa.

Nel novembre del 1902, a Caltanissetta, aveva sostenuto l’indispensabile rinascita del comune, “nella sua funzione collettiva, nel diritto di amministrare i beni comuni, di soddisfare i bisogni collettivo-territoriali sia di ordine materiale, sociale che morale”. Il comune così diventava per Sturzo palestra di democrazia, attraverso la rappresentanza proporzionale delle diverse energie operanti nel territorio e attraverso il referendum popolare. Così operando, Sturzo diventa banditore di una fede moderna, “personaggio della Chiesa e del popolo” che, pur muovendo da premesse saldamente cattoliche, pone il problema politico della libera volontà, correndo tutti i rischi delle scelte morali dettate dalla coscienza. La partecipazione dei cattolici alla vita politica dell’Italia, con organizzazione autonoma e con programma completo intorno a tutti i problemi nazionali da lui caldeggiata per oltre 20 anni ed attuata con la fondazione del PPI, era il primo obiettivo da raggiungere e il mezzo per le ulteriori affermazioni.

Ma il discorso più significativo e che più ci coinvolge in questo momento storico di piena confusione e di perdita di senso e di direzione della società civile, è il discorso di Caltagirone del 24 dicembre 1905, intitolato I problemi della vita nazionale dei cattolici italiani. Vi si identifica l’intenzione di dare vita a un Partito d’ispirazione cristiana, ma responsabilmente aconfessionale e laico, con cui i cattolici si mettessero “al pari degli altri partiti della vita nazionale, non come unici depositari della religione, o come armata permanente delle autorità religiose, ma come rappresentanti di una tendenza popolare-nazionale nello sviluppo del vivere civile…il partito come strumento indispensabile alla vita civile e democratica”.

Questo partito avrebbe dovuto scegliere se essere conservatore o essere democratico, in quanto il clerico-moderatismo dell’età giolittiana, poi culminato nel patto Gentiloni del 1913, non corrispondeva al progetto di Sturzo, poiché espressione clerico-moderata di ritorno storico della reazione. Nel suo disegno il partito non poteva essere che “democratico, antimoderato, autonomo da condizionamenti e collusioni con altre forze politiche”. La formazione di un partito nazionale dei cattolici democratici richiedeva, secondo Sturzo, “di essere da soli, specificamente diversi dai liberali e dai socialisti, liberi nelle mosse, con un programma concreto basato sopra elementi di vita democratica…un partito non pura espressione ideologica, ma soggetto che doveva maturare dal basso, alimentarsi coi problemi reali e concreti del Paese e della sua gente, per diventare il risultato di una presa di coscienza politica, sociale, culturale e democratica dei cattolici..”.

Sturzo aveva compreso che uno Stato democratico si costruisce dal basso, attraverso individui responsabili ed enti autonomi, in cui fare pieno esercizio di libertà. Altro momento importante fu il Congresso di Torino, il quarto, nell’aprile del 1923, in cui Sturzo ribadì la peculiare fisionomia del PPI, nei confronti di ogni altra ideologia, contrapponendosi in particolare al fascismo e alla sua concezione dello Stato: “..Per noi lo Stato non crea l’etica, ma la traduce in legge e le dà forza sociale. Per noi lo Stato non è la libertà, non è al di sopra della libertà, ma la riconosce e ne coordina e limita l’uso, perché non degeneri in licenza. Per noi lo Stato non è religione: la rispetta, ne tutela l’uso dei diritti esterni e pubblici…Per noi la nazione non è un ente spirituale assorbente la vita dei singoli: è il complesso storico di un popolo uno, che agisce nella solidarietà della sua attività e che sviluppa le sue energie negli organismi nei quali ogni nazione è ordinata“.

Questo riferimento a uno dei nostri principali padri politici oggi viene completamente dimenticato proprio da quei cattolici che dovrebbero invece averlo sempre sottomano, come luce del cammino politico, oggi buio, dissestato e pieno di difficoltà.