Come spesso accade nella storia, le emergenze mettono a nudo ed accelerano processi già in atto nella società. Per esempio, la tendenza a barattare “libertà” con “(presunta) sicurezza”. Non è, appunto, una tendenza nuova. Molte grandi tragedie democratiche della storia sono accadute sulla base di questo baratto socialmente accettato.
Basti pensare, per quanto riguarda l’Europa, a ciò che è avvenuto tra la prima e la seconda guerra mondiale.

Segnali di questo insano baratto (figlio di una crisi della Politica in termini di autorevolezza, carisma, competenza e di una caduta generale di “senso civico” e di cultura comunitaria) li avevamo visti molto prima del Coronavirus, anche nel nostro Paese.
Gran parte (non tutta) del consenso alla Lega ha avuto questa radice e questa motivazione.
Il caso di Orbán in Ungheria è l’emblema di questo baratto, coniugato pericolosamente con la cifra nazionalistica tipica di quel Paese.

Condivido pienamente quanto scritto da Umberto Laurenti e da altri. Non può esistere che la famiglia europea dei Popolari di Degasperi e degli altri leader fondatori abbia al proprio interno simili personaggi e simili partiti. O meglio, può esistere solo perché ormai il PPE sta perdendo (non da oggi: per il nostro Paese certamente da quando è stata accettata l’adesione di Forza Italia) la sua anima e la sua “ragione sociale”.

Non a caso, le culture politiche di matrice cristiano sociale sono oggi minoranza nel PPE.
Non aver mantenuto come base del PPE la cultura politica Cristiano Sociale, con il suo storico “confine a destra”, è stato un errore micidiale.

Questa posizione di tolleranza verso Orbán rende per noi ancor più “impotabile” la adesione a questa area politica europea, così come oggi configurata.
Ma, forse, questa crisi che travolge tante cose, travolge anche gli assetti politici consolidati.
Tanto più che il PPE non è un “partito europeo”, ma una federazione di partiti nazionali.
Un nuovo assetto politico europeo potrà nascere solo dopo che l’Unione Europea avrà deciso cosa essere da grande o – al contrario – come morire.

Nel primo (ovviamente auspicabile) caso, lo spirito europeista e democratico non potrà che essere uno degli elementi di aggregazione delle culture politiche popolari e cristiano sociali.
Pur in questa fase drammatica e inquietante, in tutti i paesi europei (anche ad est) è destinata a crescere la domanda di qualcosa di nuovo.

Il Magistero di Papa Francesco incoraggia e stimola. Nove sensibilità ecologiste (molto diverse dal ben noto ambientalismo salottiero) si diffondono. Concezioni solidali e sociali della democrazia covano sotto sotto, come braci nascoste. Senso di responsabilità e cultura del limite si fanno spazio anche nel mondo dell’economia e della finanza. Le tecnologie della rete si dimostrano non solo strumento di condizionamento, di potere e di diffusione organizzata di fake news, ma anche occasione di  conoscenza diffusa e di mobilitazione collettiva oltre ogni confine.

Sopratutto è destinata a farsi nuovamente strada la nostra cultura della “Comunità”.
E dunque di una democrazia ispirata al “personalismo comunitario”, garante non solo dei diritti individuali, ma anche di quelli sociali.
Una democrazia che vive di pluralismo e si traduce in una concezione di “Stato Nazionale” che “condivide” la sua sovranità con le autonomie territoriali e comunitarie da un lato e con le istanze europee e internazionali dall’altro.

Ed un “mercato” che non è solo “regolato”, ma anche intrinsecamente partecipe di una missione di servizio al bene comune e protagonista della lotta alle disuguaglianze.
Per questo, mi verrebbe da dire, lasciamo che i morti seppelliscano i morti. E pensiamo ai vivi.