Draghi dialoga con le parti sociali. Non serve un “salario minimo” per legge, fa bene la Cisl a rilanciare la contrattazione.

In Italia è ben salda una contrattazione collettiva nazionale che dal dopoguerra ha garantito e garantisce i lavoratori di ogni territorio e settore, come non avviene in nessuna altra parte d’Europa. È il risultato dell’impegno delle confederazioni dei lavoratori e delle imprese, che così hanno consolidato tradizioni e sistemi di efficienti regolazioni.

Il nuovo clima inaugurato da Mario Draghi nel rapporto con le parti sociali è un segno positivo importante per il ripristino della cultura della collaborazione tra le istituzioni e le grandi associazioni. Sono stati tanti i fatti che negli anni hanno testimoniato ostilità verso la intermediazione sociale, e questo è accaduto almeno per due ragioni: la politica ha tentato a più riprese di surrogare compiti e spazi dei corpi intermedi per rimediare al proprio indebolimento a causa dei fattori internazionali e nazionali, mostrando perciò  verso le presenze vive del sociale un che di antagonistico. Inoltre, l’espandersi dei movimenti populisti, che per propria natura considerano i soggetti organizzati un ostacolo alla loro espansione, hanno reso ancora più cruda e cinica questa tendenza già presente nelle dinamiche sociali e politiche degli anni trascorsi. 

L’avvio di cambiamento, interpretato come dicevamo dal Presidente del Consiglio, non è nuovo nella esperienza storica dei decenni passati. Infatti, in ogni momento decisivo per le sorti del paese della nostra storia contemporanea, gli Esecutivi diretti da forti personalità hanno sempre ricercato dei “patti” tra governi e parti sociali. Tali obiettivi rientravano nella strategia volta a creare un clima di forte coesione sociale, un clima in grado di riassicurare, cioè, le preoccupazioni di ambienti interni ed internazionali, di scoraggiare azioni di disturbo delle opposizioni politiche o addirittura differenziazioni presenti nella stessa maggioranza politica: tutti elementi che come si sa possono fortemente indebolire l’azione di un governo chiamato a gravi prove da affrontare. 

È accaduto negli anni 80 con il Governo Craxi per fermare l’inflazione, nel 1993 con Azeglio Ciampi per la politica dei redditi, all’inizio del nuovo secolo con Giuliano Amato, con Berlusconi qualche anno dopo, ed ora comincia a prendere forma il patto di Mario Draghi. Il quinquennio che ci aspetta sarà determinante per l’Italia, ed è essenziale avere le forze sociali ed istituzionali unite in un unico sforzo per rilanciare lo sviluppo, disponendo finalmente di grandi risorse. C’è bisogno di rivisitare con energia i nostri gangli vitali della economia, delle amministrazioni pubbliche centrali e locali, puntando decisamente a ripristinare i fattori utili al rilancio del paese. In tal senso, bene ha fatto la Cisl ad insistere per ottenere luoghi di verifica per la buona gestione del PNRR, e per un patto che possa garantire sicurezza nel lavoro e stabilità dei posti di lavoro, garanzia del buon governo della spesa pubblica orientata produttivamente. 

Insomma, l’idea che un esteso e positivo clima nel paese possa guadagnare il rispetto delle realtà del lavoro, per farcela tutti insieme, si va affermando con convinzione. Per andare in tale direzione, non occorrono intralci al dialogo con inutili e dannose proposte unilaterali governative come quelle riferibili al “salario minimo” da stabilire per legge. Si è detto e ridetto che in Italia è ben salda una contrattazione collettiva nazionale che dal dopoguerra ha garantito e garantisce i lavoratori di ogni territorio e settore, come non avviene in nessuna altra parte d’Europa. È il risultato di un impegno continuo e rinnovato nei decenni delle confederazioni dei lavoratori e delle imprese, che così hanno ben consolidato tradizioni e sistemi di efficienti regolazioni, ben accettati e rafforzati da una giurisprudenza consolidata che non dà adito a confusione ed a inefficienze. 

Dunque è un bene che siano proprio le grandi confederazioni del lavoro e delle imprese ad eventualmente trovare soluzioni adeguate e condivise. È proprio il caso di ripristinare il clima virtuoso della divisione dei compiti tra tutti soggetti che animano e sorreggono la democrazia,  per un salto in avanti di responsabilità e coesione, intesi come importanti punti di forza per chi vuole fare del PNRR la leva di cambiamento del Paese. Ecco, il patto sociale è quello che ci vuole per un rinnovato coinvolgimento di ogni soggetto istituzionale e sociale per il bene del Paese, da tempo avvitato in una spirale di confusione e scoraggiamento.