Sono molteplici le sfaccettature della matrice politica del nuovo Zar: ma se si pensa alla distribuzione dei compiti agli oligarchi del Cremlino sembra di ritrovarvi più di una analogia con i gerarchi nazisti.
Merita più di una citazione l’articolo di Giuliano Cazzola, pubblicato su Linkiesta del 16/4 u.s. L’incipit spiega, a chi è di facile definizione e attribuisce patenti ideologiche, una parte del titolo qui sopra: “Non capisco come si possa essere stati nel corso della vita di sinistra ed essere oggi con Putin”. Citando il discorso dello Zar del 22 febbraio u.s. – che altro non è che la dichiarazione di guerra all’Ucraina – Cazzola osserva che “in più di 3,6mila parole l’acronimo Nato non compare neppure una volta; e neppure le parole «minaccia» e «accerchiamento». Un’altra grande assente è la definizione «nazista» (si parla solo una volta di «neonazismo aggressivo»)”.
Viceversa Putin imputa all’Ucraina di essere un Paese “nazionalista”, mentre in ogni intervento (personale o diffuso come messaggio dogmatico da fiancheggiatori, stampa e TV: i giornalisti parlano ad una voce sola, la sua) nel corso dell’operazione militare declina il nazionalismo in neonazismo. Giustamente Cazzola si chiede come possa essere definita neonazista una nazione che ha subito pesantemente la Shoah e in cui non vi è traccia oggi di alcuna iniziativa di antisemitismo.
Confondere il nazionalismo con il neonazismo è commettere un errore di valutazione storica e del presente: contemporaneamente se Putin si arroga il compito di “denazificare” l’Ucraina – con la benedizione del Patriarca Kirill che la individua come patria del nazismo, del relativismo etico, della corruzione dei costumi – dopo averla accusa di “bolscevismo” (“«l’Ucraina sovietica è il risultato della politica dei bolscevichi e può essere giustamente chiamata l’Ucraina di Vladimir Lenin. Egli ne fu il creatore e l’architetto») passa dall’errore di valutazione alla confusione tout- court.
In realtà accusando nello stesso momento l’Ucraina di essere “neonazista” e “bolscevica” vuole porre se stesso e la Russia al di fuori e al di sopra di questi schemi ideologici ma la politica espansiva, aggressiva e minatoria che sta adottando lo ascrive al più vetero-zarismo sul piano dell’assolutismo autarchico interno e al colonialismo sfrontato del totalitarismo imperialista. In realtà sono molteplici le sfaccettature della matrice politica di Putin: ma se si pensa alla distribuzione dei compiti agli oligarchi del Cremlino sembra di ritrovarvi più di una analogia con i gerarchi nazisti.
Ma la confusione tra nazionalismo e patriottismo da un lato con il “neonazismo” dall’altro attribuita all’Ucraina dimentica che in realtà la campagna di guerra aggressiva e distruttiva avviata contro quel Paese il 24/2 esprime in modo netto ed incontrovertibile la volontà di appropriarsi di quello Stato, cancellandone il nome, le radici e le tensioni autonomistiche e soprattutto calpestando il principio che sottende la coerenza tra il concetto di Nazione e quello di Stato (che della Nazione è la consacrazione giuridica e istituzionale): il principio, dicevo, dell’autodeterminazione dei popoli.
Per questi motivi ove non si voglia attribuire un imprinting ideologico di destra o di sinistra alla politica di Putin non si può negarne la matrice totalitaria, autarchica e imperialista. Non è solo il riscatto dei territori russofoni l’obiettivo dello Zar 2.0 bensì inizialmente la conquista dell’intero territorio ucraino, attraverso una aggressione militare di inaudita violenza ed efferatezza, uccidendone o espatriandone come prigionieri di guerra i civili comprese donne e minori, per poi puntare ad una avanzata verso l’Europa.
Paesi come la Finlandia o la Svezia che vantano secoli di neutralità e ora chiedono di aderire alla Nato la dicono lunga sui timori delle mire espansive di Putin. Chiaramente il discorso si spiega in termini geoeconomici, considerate le ricchezze di gas e minerarie dell’Ucraina che fanno gola ad un Paese come la Russia che vuole il primato mondiale della gestione delle risorse energetiche, tendendo conto da un lato della Cina come primo Paese manifatturiero (e quindi famelico di materie prime necessarie per la produzione delle merci da esportare) e dell’Europa come continente che si è messo in condizione (soprattutto l’Italia, con uno scellerato cedimento ai veti dei negazionismi energetici dei “no-tutto”) di dipendere dalle forniture di energie made in Russia.
Si aggiunga il delirio di conquista che sta pervadendo l’autarca russo, una vera minaccia agli equilibri e alla pace attraverso mire ed azioni colonialiste per l’allargamento dell’impero ex sovietico. Stride non poco che gli opposti si tocchino: la Le Pen in Francia ha apertamente dichiarato di sostenere Putin e rappresenterebbe metà della tenaglia che stringerebbe d’assedio il cuore dell’Europa.
Questo mentre gli amici-compagni dell’Anpi, rieleggendo il loro presidente nazionale – pur tra dissensi interni anche se di condanna dell’aggressione russa – mantengono una posizione di equidistanza rispetto al conflitto e non riconoscono analogie tra la nostra Resistenza e quella del popolo ucraino aggredito dall’invasore.