Uno spiraglio di pace tra Kiev e Mosca?

La certezza è che fino al prossimo inverno la guerra proseguirà. Ma dicendosi latori di una proposta di pace, i due avversari – Putin e Zelensky – implicitamente si sono legittimati a vicenda.

Ci sono due modalità per commentare l’uscita di Putin dell’altro giorno, da un lato, e l’avvio della Conferenza di Pace a Burgenstock/Lucerna, dall’altro. La prima è quella più ovvia, immediata e oggettivamente incontrovertibile: una trovata propagandistica – e nemmeno fra le più riuscite – delle due parti, posto che se il capo del Cremlino ha messo in campo una proposta di pace palesemente irricevibile degli ucraini e dai loro alleati occidentali, dall’altro l’incontro ospitato in Svizzera dalla Presidente della Confederazione elvetica è alquanto curioso, non prevedendo la partecipazione ad esso di una delle due parti in conflitto. Perfetto. Ma, ciò detto, la domanda è: che senso ha tutto ciò? O un senso – citando Vasco – questa storia non ce l’ha?

Guardando le cose in controluce, e con una discreta dose di ottimismo, in verità, e pure con un naturale senso di disgusto per la guerra e le sue devastazioni fisiche e morali, si può adottare invece una seconda modalità interpretativa. E con essa, forse, intravvedere un timido, cauto tentativo di individuazione delle pre-condizioni necessarie per l’apertura di una trattativa vera.

Del resto, le parole di Andriy Yermak – responsabile dell’amministrazione presidenziale ucraina – vanno in quella direzione: alla fine della Conferenza, ha detto, Kyiv consegnerà a Mosca un piano ivi definito e concordato per porre fine al conflitto e dunque per avviare una vera trattativa di pace. Certo, impresa non facile dal momento che sempre Yermak ha subito precisato che l’Ucraina non è disponibile ad alcuna concessione territoriale, ovvero proprio ciò che aveva proposto Putin nella sua sortita alla vigilia della Conferenza: la sovranità di Mosca sulle quattro regioni oggi parzialmente occupate dai russi (Donetsk, Lugansk, Kherson, Zaporizhzia).

Però proprio dall’intervento di Putin possiamo trarre due possibili indicazioni: sostanzialmente lo zar lascia all’Ucraina Kharkiv e soprattutto Odessa, due città strategiche che egli considera russe dal punto di vista storico e che erano i principali obiettivi della “operazione militare speciale” avviata due anni fa. Un modo per far intendere che in una trattativa di pace si potrebbe discutere anche di altri oblast? (certamente non della Crimea, né di Donetsk e Lugansk).

E ancora: la rinuncia formale ucraina di partecipazione alla NATO, altra linea rossa putiniana, può essere un possibile risultato finale da “vendere” in patria come eccellente, ben sapendo che Washington giocherà quella carta esattamente ai fini del raggiungimento di un compromesso finale.

Dal lato di Zelensky la proposta che esce dal documento sottoscritto dalla maggior parte – ma non da tutti – dei partecipanti a questa anomala Conferenza si presta essa pure ad un suo duplice utilizzo. Perché le tematiche in esso sottolineate lasciano ampi margini per individuare in un tempo successivo compromessi prodromici alla trattativa finale, quella sui territori e sulle garanzie per il futuro: dal ritorno in patria dei bambini deportati in Russia allo scambio di prigionieri, dall’esportazione del grano alla sicurezza della centrale nucleare di Zhaporizhzia. Ma soprattutto perché proprio la mancata firma del documento conclusivo da parte di paesi importanti come Brasile, India, Sudafrica, Arabia, Messico – per lo più appartenenti al nuovo club BRICS+ del quale fanno parte come è noto anche Cina e Russia – potrebbe consentire al presidente ucraino la ricerca di una qualche mediazione, di un qualche compromesso anche territoriale motivato dalla capacità persuasiva (naturalmente tutta da dimostrare, a oggi) di questi partner del Sud Globale nei confronti di Mosca, che potrebbe essere a sua volta fortemente sollecitata proprio da questi ultimi a ricercare una soluzione concordata con il nemico ucraino.

Tutte supposizioni, naturalmente. E con la certezza che fino al prossimo inverno la guerra proseguirà di certo. Ma dicendosi latori di una proposta, al di là del merito della stessa, i due avversari – Putin e Zelensky – implicitamente si sono legittimati a vicenda in quanto capi di stato. È già qualcosa. Una flebile luce nella notte ancora cupa.