Il concorso che non finisce mai
Con la giornata di venerdì 5 si è conclusa la prima fase del concorso per docenti a cattedra, il terzo a valere sui fondi PNRR finanziati dall’Europa. Come nei due precedenti, sono previste due prove – una scritta, con i famigerati test a crocette e una orale – o tre – per gli indirizzi che prevedono anche una prova pratica – più una valutazione dei titoli di insegnamento. Il precedente concorso, il PNRR2 era stato travagliato da un errore nella formulazione di un quiz che aveva costretto un sesto dei candidati a sostenere una prova integrativa. Ma anche per il PNRR3 – nel comparto scuola primaria – si paventano ricorsi e contestazioni che potrebbero, qualora avessero seguito, invalidare le prove o ritardare le tempistiche del concorso.
Domande senza programma, in totale discrasia con i percorsi universitari
Ad oggetto delle prove scritte, domande sulle teorie psico-pedagogiche, sulle metodologie didattiche, sulla normativa ministeriale ed europea, sulle competenze digitali, senza alcuna banca dati di riferimento per i candidati (quindi senza un programma definito su cui prepararsi) e in totale discrasia rispetto al percorso formativo universitario dei docenti della scuola secondaria (laureati in lettere, lingue straniere, scienze, matematica etc.).
Abilitarsi: un ulteriore investimento di tempo e denaro
Intanto, facendo un passo indietro, vediamo che l’impervio percorso per diventare insegnanti inizia ben prima delle prove concorsuali. Qual è l’iter da seguire per diventare oggi docenti di scuola secondaria in Italia? Dopo la laurea triennale e magistrale nelle discipline curriculari (lettere, matematica, inglese etc.), è necessario conseguire l’abilitazione, un corso di 60 cfu, erogato dalle università, su materie psico-pedagogiche e con una parte di tirocinio obbligatorio. Un altro anno di formazione, quindi, al modico costo, in media, di 2000€. E se si vuole abilitarsi in più di una classe di concorso (mettiamo italiano per il liceo e per le medie) allora i percorsi di abilitazione sono due, i 60 e i 30 cfu, e il costo chiaramente sale. Tutto a fronte della retorica, diffusa nel nostro paese, che vuole l’insegnante animato dal fuoco sacro della passione. Eppure, sembra che accanto alla sehnsucht romantica, siano necessarie agli aspiranti docenti ben altre facoltà, fra tutte tempo e denaro. Per un giovane che si confronta con i colleghi europei e vede il proprio stipendio più basso in alcuni casi della metà (vedi Lussemburgo e Germania) e nessuna possibilità di carriera tolti i sottili scatti di anzianità, la prospettiva è piuttosto demotivante.
Professioni ad accesso diretto? Altrove…
D’altronde la precarietà dell’ingresso nel mondo del lavoro è una condizione, in diverse forme, comune a tanti laureati italiani. A ben vedere, le lauree che abilitano direttamente alla professione sono poche, e afferiscono quasi tutte all’ambito sanitario, in cui la possibilità di sostenere l’esame di stato è contestuale al conseguimento della laurea e non richiede un tempo di formazione aggiuntivo. Per altri lavori – professori, avvocati, magistrati etc. – dopo la pergamena, il percorso è ancora lungo e oneroso, tra tirocini extracurricolari gratuiti e corsi abilitanti. Questo dato non solo rappresenta uno squilibrio, ma si inserisce nel quadro più ampio della difficoltà del nostro paese a valorizzare il talento e il capitale umano delle nuove generazioni, con percorsi lunghi, costosi e un ritardo nell’immissione della forza giovanile nel mondo del lavoro.
Una possibile riforma: lauree professionalizzanti e prove coerenti
Ora, tornando al caso degli insegnati, non sarebbe più opportuno ripensare il percorso universitario magistrale come professionalizzante e abilitante alla carriera? Immaginare una laurea biennale in “Didattica del …”, progettata e strutturata secondo le competenze necessarie a chi vuole insegnare, inserendo anche il tirocinio nelle scuole – che così diventerebbe curriculare e non una forma di lavoro gratuito dei laureati? L’iter diventerebbe più equo, senza altri anni da ipotecare ad un lavoro futuro e senza costi che inevitabilmente gravano sulle spalle delle famiglie. E, a voler essere proprio “audaci”, si potrebbero immaginare prove concorsuali sulla base di quello che effettivamente si è studiato durante il proprio percorso di laurea…

