Quanto conta il saliscendi del Pil nel Rapporto Censis

Il Centro Studi apprezza il documento-Draghi, evidenziando però come gli impegni anche finanziari finora portati avanti dall’U.E. non si dimostrino sufficienti, soprattutto se paragonati a quelli di Stati Uniti e Cina. 

Il Censis, oltre agli autorevoli Rapporti annuali (attendiamo il prossimo, imminente…) che sono da decenni un punto di riferimento imprescindibile per chi voglia osservare e seguire le derive evolutive (o involutive) del Paese, pubblica Ricerche tematiche centrate su argomenti specifici, legati alle dinamiche socio-economiche in atto e utili per comprendere il presente – senza renderlo “asfissiante” (preoccupazione ricorrente dell’Istituto) o pregiudizialmente negativo (ci è noto “l’ostinato continuismo “del suo fondatore Giuseppe De Rita) nelle sue dinamiche in divenire. Ciò avviene grazie ad uno staff interno di ricercatori di altissimo livello e avvalendosi delle analisi di esperti la cui competenza specifica si inserisce perfettamente nella cornice di eminenza e prestigio che caratterizza il Centro Studi di piazza di Novella a Roma. Ed ecco che dal cilindro Censis esce una raccolta – densa e pertinente – di saggi brevi in tema di economia, seguendo la traccia degli scenari che caratterizzano e configurano il dibattito interno del nostro Paese e i più ampi orizzonti dell’economia globale.

Lo puntualizza in modo chiaro nell’editoriale di esordio il Presidente dell’Associazione italiana banche estere, Guido Rosa, che focalizza due ambiti tematici come contenitori di più mirate analisi: il primo è “che cosa fare” per garantire continuità alla crescita economica, oltre le dinamiche protezionistiche, le crisi determinate dalle guerre e l’affacciarsi all’orizzonte di nuovi attori che incidono nella configurazione di un nuovo ordine mondiale. Il secondo pertiene il ruolo dell’Europa in rapporto alla crescita di India e Cina, alle elezioni americane e alla posizione dell’Italia, tra ricerca di innovazione ed elevato debito pubblico. Ci sono evidenze che incidono su questo incipit di riflessione riassuntiva. A fronte di una crescita globale del 3,2% nel 2024, nel 2025 solo questi Stati si collocherebbero sopra la media: India (+6,7 %), Indonesia (+5,1%), Cina (+4,9%), mentre la Russia – ferma all’1,1%- sarebbe superata da Arabia Saudita (+3,7%) e Argentina che compirebbe un balzo dalla recessione del 2024 (-4%) allo sviluppo nel 2025 (+3,9%). Dai dati OCSE si evidenzia l’assenza degli USA tra i protagonisti della crescita degli ultimi due anni (+2,6% di PIL nel 2024 e +1,6% nel 2025), cosi come l’Eurozona che partendo da un +0,7% nel 2024 non andrebbe oltre l’1,3% nel 2025 (Francia, Italia e Germania ferme al palo del +1% con la Spagna più brillante al +2%.).

Rilevanti altre evidenze: la competizione Usa-Cina su fronte delle spese per il riarmo e l’innovazione tecnologica, lo stallo dell’Europa (nonostante il piano Draghi – “riforme subito o sarà lenta agonia” – in realtà finora sottovalutato), il perdurare delle guerre in Ucraina e Medioriente, l’incognita dell’Africa sulla quale la Russia allunga le mani. C’è poi da considerare il compattamento dei Paesi del Brics, coesi per un “mondo multipolare” sottratto all’egemonia dell’Occidente. Il quadro complessivo sul piano socioeconomico – come detto – porta alla ribalta attori nuovi per scenari potenzialmente diversi: alla riunione Brics di Kazan, presenti Putin e Guterres, si è parlato apertis verbis di un nuovo ordine mondiale, affrancato dal colonialismo finanziario Usa e dall’influenza del dollaro.

Il panel di esperti che ha messo a punto la Ricerca patrocinata dal Censis tocca le corde allentate dell’Occidente e la debolezza dell’U.E., oltre ad evidenziare incertezze e distrazioni di utilizzo dei fondi Pnrr da parte dell’Italia, gravata dal debito pubblico, da carenza di investimenti esteri (a fronte di una crescita delle esportazioni) ma ancor più da un sistema sociale e istituzionale  – (fisco, pubblica amministrazione, istruzione, sanità, giustizia ecc.) – paralizzato da lentezze procedurali e burocrazia opprimente. Sono molti i segnali che fanno presagire per l’Italia un destino fatto di bassa crescita, stagnazione e graduale declino: se compariamo queste previsioni con il recente Rapporto Istat sugli indici di povertà assoluta e relativa del Paese non possiamo non rilevare una coerenza infausta tra analisi socio-economiche ed evidenze dei dati. L’Italia è un Paese dove i gap esistenti anziché ricomporsi aprono nuove falde mentre le forbici delle differenze si divaricano verso una sorta di indefinito disagio sociale ed esistenziale.

Tuttavia, come detto, gli esperti chiamati dal Censis al capezzale del malato tracciano percorsi di speranza e ripresa: con cauta lungimiranza cercano di separare le ombre dalla realtà pulsante del Paese, che c’è, esiste e manda segnali di inversione di rotta. La Ricerca Censis inoltre sottolinea e condivide in sostanza le linee di indirizzo del documento-Draghi, evidenziando però come gli impegni anche finanziari finora portati avanti dall’U.E. non si dimostrino sufficienti, soprattutto se paragonati a quelli delle potenze concorrenti, principalmente Stati Uniti e Cina. Inevitabilmente aggregata a questa tendenza è la deriva dell’Italia che soffre in modo evidente i trend in atto in Europa negli ultimi due anni: stretta creditizia, ripresa dell’inflazione (quella energetica ha pesato per il 24,3% sul totale, dall’inizio della guerra in Ucraina), riduzione degli investimenti. In una realtà economica prevalentemente manifatturiera sono più esposte ai rischi di crisi le piccole-medie imprese. Proprio quelle che – insieme alle famiglie – sono citate nei fervorini dei TG serali dai politici di tutti i partiti – per perorare e rivendicare ciò che non viene fatto ovvero per dimostrare ciò che si fa – come giaculatorie mandate a memoria per convincerci che va tutto male o che va tutto bene.