Firenze, 5 ott. (askanews) – Non è, ovviamente, la Leopolda dei tempi d’oro del governo e nemmeno quella in cui il Pd “delle tasse” e dei “signori delle tessere” era spesso tirato in ballo negli interventi sul palco dell’ex stazione ferroviaria a Firenze: questa è la Leopolda della Casa riformista, nuovo “contenitore” dei riformisti renziani, insieme ai sindaci e alla società civile, e in alleanza, nella compagine del centrosinistra, con un Pd “sempre più a sinistra”.
Obiettivo non è solo battere Giorgia Meloni alle prossime elezioni Politiche, ma molto di più: evitare che “fra due anni il Quirinale diventi Casa sovranista” con l’elezione dell’attuale premier a presidente della Repubblica. Matteo Renzi chiude la Leopolda numero 13 – diversa per sua stessa ammissione, non c’è più, per dire, nemmeno la saletta vip dietro il palco che è più piccolo e spostato verso l’ingresso della struttura – con due proposte operative in vista della legge di bilancio (Start tax per i giovani e tetto della pressione fiscale al 40%, più “facile” da realizzare la prima che costa “4 miliardi”, più difficile la seconda) e un avvertimento.
Il monito è questo: se Casa riformista non raccoglie il 10% dei voti e non aiuta il centrosinistra non solo a “tenere la barra dritta” sui temi riformisti per non andare troppo a sinistra, ma anche ad avere i consensi necessari per vincere sullo schieramento di centrodestra Meloni conquista anche il Quirinale.
Lui, assicura l’ex premier, “non vuole mettere il cappello” su Casa riformista ma certo “senza Iv non c’è Casa riformista” e, smentendo alcune voci, ribadisce che Italia Viva “resterà come partito”. Con i riformisti ci sarà la società civile e soprattutto i sindaci: ne sono passati diversi dalla Leopolda 13, da Beppe Sala (Milano) a un applauditissimo Gaetano Manfredi (Napoli), alla molto attesa Silvia Salis (Genova) che ha sottolineato “l’unione” – dalle parti del centrosinistra la sola parola suscita ancora nostalgie e rabbie – delle classi dirigenti del campo progressista che “non” appartiene, dice lei, al centrodestra, ma si è tenuta lontana dalle suggestioni di chi la vorrebbe federatrice dello schieramento. Anche Renzi l’ha detto: non sarà un sindaco a salvare il centrosinistra. La partita delle Politiche è tutta da giocare e Renzi sfida i numeri: “Saremo anche al 2% ma gli facciamo una paura da matti” al centrodestra visto che “la Meloni ha deciso di cambiare la legge elettorale un minuto dopo che noi abbiamo deciso di andare con il centrosinistra, cercando così di cambiare le regole del gioco ma porta sfiga Giorgia, fidati”. Toni molto più duri, da una Leopolda che ha accolto i tre ministri del governo ospiti – Matteo Piantedosi, Guido Crosetto e Giuseppe Valditara – tra gli applausi all’indirizzo di Meloni che si lamenta di essere bersaglio dell’odio: “La leadership non è cavalcare l’odio”, “voglio dire alla presidente del Consiglio che un leader non è colui che cavalca l’odio per estremizzare il Paese, un leader è chi rispetta chi non la pensa come lei, un leader è quello che fa dimettere un ministro che paragona un partito di opposizione alle Brigate Rosse”.
Il ministro, come noto, è Luca Ciriani, Da parte sua anche la capogruppo a Montecitorio Maria Elena Boschi attacca la premier: Meloni che con Fdi è “campione di vittimismo” “ha un po perso lucidità”, dice, perchè “se in questi anni c’è qualcuno che ha seminato odio contro gli avversari politici o organizzato manifestazioni sotto le nostre case quelli sono quelli di Fratelli d’Italia”.
Giù il sipario, dunque, sulla Leopolda 13 con il ricordo di Sammy Basso “vero modello per i ragazzi” e l’invocazione, a proposito della longevità (“stiamo entrando nell’era della longevità”), argomento di cui discutevano anche Putin e Xi Jinping, suggerita dal finale di “Blade Runner”, film molto amato da Renzi: “Dammi più vita, padre”.