Viviamo un tempo sospeso, in cui tutto sembra essere fermo ma non lo è e, meno che mai, dovrebbero esserlo le nostre analisi. Abbiamo spesso invocato il cambiamento e ora che tutto deve cambiare rischiamo di rimanere fissi trascurando le opportunità che questo tempo ha in sé. Non farlo sarebbe poi, non solo, sprecare una possibilità ma sottrarci ad un dovere a cui la vita ci chiama, e di doveri questa stagione ce ne propone tanti.
Siamo di fronte ad un bivio.
A sostenerci nella scelta della giusta direzione, e cioè verso la realizzazione di un Paese che, sebbene privo di risorse prime, possa ancora continuare a vantare di essere tra quelli più evoluti garantendo ai suoi cittadini un livello elevato di benessere, ci guidi quella “resilienza trasformativa” che, innovando forme e strumenti del nostro agire politico, sappia creare un nuovo campo di azione. Ora “Se lo facessimo da soli, ci ammoniva Mino Martinazzoli, sarebbe un’avarizia, in tanti è far politica”. In questo gioco c’è spazio per quanti sentono la necessità impegnarsi e dare una mano perché questo tempo interroga tutti e richiama la stagione morotea dei doveri sapendo che dobbiamo riscrivere quella dei diritti.
Necessita allora definire “i paletti” di questo agire. Già in questo primo periodo di pandemia abbiamo sperimentato che una decrescita felice non porta con sé un mondo nuovo e bello, anzi il contrario e, proprio per questo, non dobbiamo abdicare da un’economia industriale che, come già accade in altri paesi europei, sappia coniugare maggiore produttività con un miglior rispetto dell’ambiente; individui nuovi settori di espansione, ora che quel modello di globalizzazione, costruito negli ultimi vent’anni, vacilla e si crei lo spazio in cui possano tornare ad essere presenti le piccole e medie imprese da sempre supporto primario dello sviluppo e innovazione del nostro Paese.
Di fronte a noi è la sfida se dobbiamo o no rimanere un Paese moderno nella sua economia e continuare ad appartenere alla civiltà occidentale, sebbene anch’essa in crisi. Due punti legati tra di loro e irrinunciabili che occorre coniugare secondo i nuovi tempi a partire dal tema del lavoro.
Oggi più di prima, infatti, occorre rimetterlo al centro e, senza demagogia ma con realismo, affrontare le sfide che esso contiene, a partire dalla sua contrazione in termini di occupazione. Una sfida ineludibile per noi se vogliamo dare attuazione alla Carta Costituzionale che si apre con questo tema.
Certo è che in questi mesi abbiamo sperimentato quanto sia urgente investire in infrastrutture ad alto contenuto tecnologico. La cifra della distanza tra noi e gli altri paesi europei è tutta qui accanto a quella degli investimenti nella sanità, o meglio nella salute.
E poi ci sono le tante opere di manutenzione di cui il nostro Paese ha bisogno che vanno dalla mobilità – settore anch’esso strategico – alla riqualificazione urbana delle periferie, alla creazione di smart city, ect.
Dopo decenni di esasperato individualismo, in questi giorni riscopriamo il valore della solidarietà, di essere vicino a coloro che non ce la fanno, e sono tanti, o a chi abita accanto a noi e si trova in uno stato di necessità. Anche i media ci propongono, utilizzando il loro linguaggio subliminale, quanto detto da Papa Francesco di recente ricordando un detto africano “sei vuoi andare veloce, corri da solo; se vuoi andare lontano, vai insieme”
All’orizzonte appare forte dunque l’esigenza di avere una società più inclusiva, per tanti, se non vogliamo rischiare di avere un paese più povero e fragile socialmente.
Per affrontare e dare una soluzione a questi temi che richiedono scelte importanti e impegnative occorre creare le condizioni. Nasceranno da questo confronto sia le risposte più adeguate ad affrontare le tante difficoltà che la capacità di governare un periodo di grande trasformazione. Un tempo impegnativo quello che abbiamo già e che verrà in cui la cifra dell’amore per propria patria e l’umanità sarà data dalla capacità, innanzitutto, di fare bene ciò che stiamo facendo [L’articolo di Moro su La ricostruzione].
Non sfugge che per realizzare tutto questo occorre avere una maggioranza che non basti a se stessa, come fece De Gasperi, ma ricostruisca il Paese e l’Europa che in questo momento ha bisogno di noi e non solo perché ne abbiamo la responsabilità con Gentiloni e Sassoli alla guida di importanti istituzioni, ma perché senza sarebbe semplicemente meno.