Ricordo di una conversazione con Giulio Andreotti

In occasione della ricorrenza della Sua data di nascita (14 gennaio p.,v.) , con piacere riproponiamo l'intervista che Francesco Provinciali realizzò con il Presidente Giulio Andreotti, il 27 febbraio 2009, poco più di un mese dopo il suo 90° compleanno. (Tratto dal libro ‘DOVE VA LA POLITICA? Dialoghi con protagonisti della politica italiana . di Francesco Provinciali - edizioni Selecta , 2011)

Presidente, innanzitutto desidero ringraziarla per avermi concesso, attraverso questa intervista, la possibilità di raccogliere una testimonianza così autorevole e  prestigiosa.

Grazie a lei, ho aderito volentieri alla sua richiesta. Il mio unico merito è che sopravvivo da tempo. 

Presidente Andreotti, partiamo da dove ci troviamo: com’è cambiata Roma in questi ultimi cinquant’anni? Parliamo della Roma del dopoguerra e della ricostruzione, del boom economico e dei cantieri politici ma anche la Roma delle borgate, così bene descritta nel cinema degli anni 50/60? La sua storia, la sua identità la mantengono ancora originale e unica al mondo?

Le caratteristiche del romano che io dico sempre esser meglio definite come ‘romanesche’ più che romane, sono andate indubbiamente a mano a mano attenuandosi perché la crescita della città è stata enorme. Roma dello Stato Pontificio era un’urbe di trecentomila anime, mentre già trent’anni dopo, all’inizio del 900 era raddoppiata la popolazione, poi c’è stato un continuo incremento di abitanti. Oggi siamo forse sopra i tre milioni ma siamo anche probabilmente di parecchio sopra, censimenti recenti non ce ne sono stati. Comunque io credo che qualche cosa deve rimanere di Roma nel senso che la città ha questa doppia caratteristica che la mantiene unica: di essere la capitale dello Stato ma anche il centro mondiale della Chiesa Cattolica. Queste due realtà in parte si influenzano e, momenti più momenti meno, danno questa caratteristica tutta particolare alla città rispetto alle altre.

E’stato recentemente costituito il Comitato pro-Pio XII, di cui Lei è il primo aderente (e di cui anche io – ultimo della lista- faccio parte), con lo scopo di rivalutare la figura di questo Pontefice oltre le distorsioni di una memoria storica non sempre obbiettiva. Quali sono le finalità di questa iniziativa? 

Io credo che sia necessario correggere alcuni errori nella ricostruzione della personalità di Pio XII e integrarli con una visione precisa del momento storico nel quale lui ha vissuto. Se facciamo questo, se rivediamo con questi criteri l’epoca e il personaggio allora vediamo non solo la fermezza con cui per esempio si era opposto alla diffusione del partito comunista e all’idea comunista in generale ma osserviamo come il fondamento di tutta la sua azione era un fondamento pastorale. Non era lui che invadeva il campo politico era la politica che aveva invaso il campo spirituale e psicologico. Certamente Papa Pacelli è stato un grande Pontefice. Penso al risentimento che hanno avuto i comunisti quando si erano visti scomunicare  da lui: ma lui aveva fatto quello che il capo supremo della Chiesa deve fare, nessuno credo può lasciare che si confondano i campi per motivi politici che non c’entrano niente con i motivi religiosi.

Essendo io genovese ricordo un discorso che il Cardinale Giuseppe Siri, ricevendoci in udienza presso l’Arcivescovado fece a noi giovani impegnati in politica. Disse una cosa che mi stupì molto – nel mio fervore di quegli anni giovanili-  ma che poi ho ripensato con maggiore riflessione, trovandola vera: disse in sostanza che la Chiesa cattolica non potrà mai essere una istituzione del tutto analoga alle democrazie, perché si regge sul dogma e sulla verità rivelata, di cui le gerarchie ecclesiastiche sono garanti.

Penso che questo sia giusto e corrisponda al vero e d’altra parte lei cita il Cardinal Siri che io ho conosciuto perché seguivo le lezioni che teneva a Camaldoli, nel Casentino, in quel periodo di formazione culturale e spirituale che diede poi luogo alla elaborazione del cosiddetto ’Codice di Camaldoli’, una riflessione sul magistero sociale della Chiesa. Le sue lezioni erano di una chiarezza straordinaria. Lui aveva una grandissima capacità comunicativa dicendo nel modo assolutamente più accessibile a tutti le cose anche più complesse, sia di teologia che di altro. Io ne ho un ricordo anche molto affettuoso perché aveva spesso la bontà di dedicarci individualmente del tempo, ci riceveva anche presso le suore di Ravasco dove lui alloggiava qui a Roma e non dava mai l’idea di essere pressato da altre cose più importanti cosa che invece era, perché generalmente la visita che gli facevano noi  – lui era gentilissimo nel concederla – non poteva certamente arricchire niente in lui mentre per noi rappresentava un punto fermo di preparazione culturale spirituale.

Lei fu molto vicino ad Alcide De Gasperi: come ricorda questo grande statista, le sue scelte politiche sulle alleanze, la sua vocazione al dialogo, il duro confronto con la sinistra di Togliatti, la sua intuizione europeista?

Di De Gasperi quello che creava entusiasmo era la sua integrità. Cioè a dire: era ‘tutto uno’, come politico, come cattolico, come uomo di cultura, non era fatto a compartimenti come siamo fatti spesso molti di noi. Esprimeva il grandissimo fascino di saper testimoniare la sua assoluta coerenza con la sua vita anche quando questo gli era costato molto, compreso il carcere. Noi dobbiamo moltissimo a De Gasperi e al modo con cui ha interpretato quella che era stata una prima bozza di Democrazia Cristiana di Don Romolo Murri e gli altri. Tutte le sue scelte successive furono ispirate a quella sua costitutiva coerenza.

Recentemente Paolo Mieli ha affermato che della riforma elettorale del 1953 (ricordata come ‘legge truffa’) fallì il progetto plebiscitario ma che – ripensandola a distanza di anni – essa avrebbe probabilmente aperto all’Italia prospettive analoghe a quelle realizzate in altri Paesi e che il sistema maggioritario va ora cercando:  il superamento della democrazia bloccata e il sistema dell’alternanza. La storia non si fa con i ma e con i se però qualcosa sarebbe cambiato…. Adesso siamo passati da un bipartitismo imperfetto ad un bipolarismo altrettanto imperfetto? 

Certo, io credo che un sistema perfetto non si troverà mai perché nelle cose di questo mondo risentiamo tutti di un certo pressapochismo o comunque di una certa parzialità di soluzioni. Però la cosa importante è che si mantenga vivo il diritto-dovere al dialogo, nella società, perché questo poi può rappresentare il modo con cui ci si organizza, accentuando in alcuni momenti di più e in altri momenti di meno l’aggregazione Insomma il superamento dell’individualismo a compartimenti stagni, questo è l’obiettivo. Trovo che questo sia l’insieme di tutto ciò che coloro che hanno avuto l’idea della prima Democrazia Cristiana avevano concepito molto bene.

Presidente Lei fu testimone e protagonista dei grandi processi di modernizzazione del Paese  sulla scia della Costituzione Repubblicana:  le riforme sociali, l’allargamento della base democratica, le nazionalizzazioni, il ‘decentramento assistito’ di uno Stato fondamentalmente centralista. Come valuta i temi del dibattito attuale: ‘seconda repubblica’, riforma della Costituzione e istituzionale, federalismo, sistema elettorale….

Probabilmente le parole prevalgono sul loro significato: io credo che quello che alla fine conta nell’indirizzare e nel cercare di correggere gli errori nella vita pubblica è di trovare sempre delle soluzioni che avvicinino le persone, gli ambienti, le idee. Abbandonare la vecchia idea dell’homo homini lupus, quella dell’essere ognuno in contrasto per forza con gli altri e assumere l’idea che tanto più uno è meritevole quanto più cerca di avvicinare le posizioni. Del resto tutta la dottrina sociale della Chiesa non è per l’essere ‘contro’ gli altri ma per realizzare consensi anche presso i non battezzati verso le idee di fondo della sociologia cristiana.

Negli anni cosiddetti della ‘solidarietà nazionale –  in cui Lei guidò il Paese – si  Propugnava il dialogo e la concertazione tra maggioranza e opposizione, si invocava il senso di responsabilità collettiva….

Certo, dobbiamo tener conto che vi era allora un condizionamento che è durato fino a che è durata la potenza del comunismo a Mosca. Quando si è poi dissolto quel vincolo si sono aperti allora orizzonti nei quali si può camminare e si cammina a ritmi differenti. Non c’è più un punto centrale a cui ci si deve ispirare per forza o dal quale ci si deve premunire per non subirne l’influenza. Io credo che a Mosca si è voltata pagina e gli effetti si ripercuotono su tutto.

L’elezione del Presidente Obama può configurare scenari mondiali nuovi e aperti alla speranza della pace?  Sullo sfondo restano però le ombre inquietanti del conflitto arabo-palestinese e dei fondamentalismi. E’ una deriva veramente irrisolvibile?

Certamente io credo che su questa terra la pace universale – politicamente parlando – forse non ci sarà mai, nel senso che i contrasti e le contrapposizioni, anche di interessi di varia natura, influiranno certamente. Però mi sembra che la linea di fondo a cui si ispira Obama sia una linea che può avvicinare le parti e quindi ridurre i contrasti, se ben interpretata. Sempre ripeto, tenendo conto che noi ci occupiamo di questa terra e non dell’altra.

Intervistando qualche giorno fa Vittorio Messori, mi ha detto che pensiamo troppo alle cose terrene e non abbiamo una prospettiva escatologica, quella dell’eternità. E’ così?

Sì, l’osservazione è giusta però non dobbiamo cadere nell’errore opposto, cioè di pensare solo all’eternità dimenticando che ci dobbiamo occupare anche delle nostre cose quotidiane o di questa terra, a periodi più brevi. D’altra parte la vita sociale è un punto d’incontro tra persone, tra ambienti e tra interessi differenti e quindi se uno pretende di voler ridurre tutto al proprio modo di vedere….beh insomma si crea – la si chiami o la si colori come si vuole – una dittatura. Mentre invece la vita deve essere democratica, cioè di rappresentatività. Devono prevalere sempre il dialogo e il confronto. Se ognuno presume che quello che pensa lui sia da estendere come dominio su tutti gli altri, realizza il difetto anche filosofico delle dittature.

Presidente Lei ha incontrato i più grandi statisti del 900, si può dire che ha dato la mano ai grandi del secolo scorso. Gliene cito due, per parità di genere una donna e un uomo, Margaret Thatcher e Michail Gorbaciov: come li ricorda, visti da vicino? 

La Signora Thatcher è una donna molto ferma, non esprime quella che uno pensa sia la dote femminile per eccellenza, la gentilezza. Non che sia scortese, tutt’altro, solo che usa più i sostantivi che gli aggettivi nel dialogo, è molto precisa, ecco. Bisogna essere attenti a come ci si esprime parlando con lei, altrettanto precisi. Gorbaciov per noi ha rappresentato una svolta perché ha superato non dico l’incomunicabilità ma le difficoltà di prima. Io in precedenza avevo avuto molti colloqui con i russi, specie con Gromiko, estremamente aperti. Ricordo ad esempio che una volta lui mi disse : “Voi siete degli aristocratici, non avete il contatto con il popolo, come noi”. E prosegui: “Se ad esempio le domando quanto costa il biglietto del tram lei non lo sa…”….”Sì, veramente non lo so” – gli risposi, però poi ci ripensai e dopo qualche secondo gli dissi: “Senta Presidente Gromiko ma quanto costa il biglietto del passaggio in metropolitana?” e non lo sapeva nemmeno lui. Gorbaciov è stato senza dubbio un personaggio epocale, di svolta anche nei rapporti con la Chiesa e il Vaticano….

Trovo però che non sia molto amato attualmente dalla sua patria

Beh, tutti coloro che ancora lì coltivano l’idea  – non dico solo del partito unico – ma del primato loro  su tutto il resto, non possono vedere con favore questa apertura che c’è stata nella politica che ha messo in campo Gorbaciov.

Presidente, dopo la fine della DC e  il superamento delle contrapposizioni ideologiche, quali sono le prospettive dei cattolici impegnati in politica? Viviamo in una fase di transizione o siamo orfani delle ideologie?

Io credo che sempre di più non dobbiamo farne un motivo organizzativo di questa coerenza con il modo di sentire la politica, come cattolici, ma di cercare di estendere al massimo possibile il senso di interesse per gli altri. Nella società, accanto alla giustizia ci deve essere anche la carità.

Il Cardinale Tonini mi ricordava recentemente che la carità integra e completa anche le altre due virtù….come ha spiegato San Paolo.

Sì, parliamo della carità non in senso elemosiniero ma proprio come capacità di rendersi conto che per avere una convivenza fertile e produttiva ognuno deve cercare di capire molto bene gli altri e rinunciare a quello che pensa che sia invece esclusivo. Ogni giorno si costruisce o comunque non si intacca la convivenza accettabile e auspicabile. Tenendo conto che apparteniamo a questo mondo:  nell’altro ci sarà poi perfezione, in questo no. Non a caso noi parliamo di ‘un mondo migliore’: vuol dire credere che va al di là dell’anagrafe.

Un’ultima domanda, politica ma anche personale. Quali sentimenti e quali emozioni prova ogni volta che passa davanti a Piazza del Gesù che fu, per oltre quarant’anni, il fulcro della politica italiana?

Io collego sempre ‘Piazza del Gesù 46’ con il resto di questa piazza dove ad esempio c’è la Chiesa del Gesù – che è forse la Chiesa meglio officiata di tutta Roma – e ci sono anche dei ricordi personali. Ci abitava un comunista meraviglioso, un amico: Giampaolo Bufalini.  E’ veramente una piazza che mi ricorda Roma vera, Roma centrale, compreso il Palazzo Altieri dove io stesso avevo studiato, ai tempi del ginnasio.

Presidente Lei ha incontrato molte persone nella Sua vita, ha ascoltato parole da tutti, è stato chiamato Lei stesso a fare importanti discorsi. Qual è l’importanza del  silenzio, della lettura, delle riflessioni nelle Sue scelte personali?

Vede, mi sono sempre più convinto- e ultimamente in modo totale – che non è tanto importante il dire quanto l’ascoltare. Tu formi la tua vita e i concetti a cui la devi ispirare ascoltando e meditando sugli altri. Qualche volta invece se hai la tentazione di essere sempre sul pulpito, beh….puoi avere delle soddisfazioni immediate ma non costruisci niente.

 Presidente mi tolga una curiosità sul famoso aneddoto: “Il potere logora chi non ce l’ha”. Lo disse Talleyrand o un Suo elettore ciociaro?

E’una delle cose che ho imparato dai contadini di Cassino, la zona più disastrata dai bombardamenti. Ho imparato tanto da loro, c’era da ricostruire tutto ma per prima cosa volevano ricostruire l’Abbazia come parte della loro storia., come fatto primario. C’era veramente un senso di comprensione tra le persone, che altrove non ho trovato: ecco, il contrario esatto dell’homo homini lupus. Aspirare a ricostruire, dopo tanta distruzione, sapeva mettere uno a fianco all’altro.