Cade il concetto di curare tutti a casa, praticamente insostenibile anche in ragione dei costi. Avanza invece la linea, sostenuta anche dai tecnici del settore, della integrazione di funzioni. Si tratta di realizzare un continuum assistenziale che parta certamente dalla casa per poi sviluppare le diverse tipologie assistenziali, soprattutto in relazione ai bisogni effettivi dei singoli anziani.
Sebastiano Capurso
Un recente articolo ha presentato una sintesi dei lavori della Commissione Ministeriale per il riordino dell’assistenza territoriale, la cui presidenza è stata affidata a Mons. Vincenzo Paglia, presidente anche della pontificia Accademia per la Vita, istituzione vaticana di grande importanza, ingenerando una qualche sovrapposizione tra le posizioni delle due istituzioni, che è bene chiarire.
Infatti, proprio a seguito di un lungo e serrato e confronto con le Organizzazioni di categoria operanti nel settore, sia di ispirazione cattolica (ARIS ed Uneba) che laiche (Anaste ed Agespi), la Commissione Ministeriale sta adeguando le sue iniziali proposte alla effettiva realtà del territorio, degli utenti e dei servizi, dimostrando grande disponibilità ed intelligenza.
Un primo, fondamentale aspetto, è quello relativo all’assistenza domiciliare, che non è più presentata come alternativa all’assistenza residenziale, ma come attività complementare, rivolta cioè ad una diversa categoria di utenti, meno compromessi e parzialmente autosufficienti, con impronta più strettamente sociale, cioè con forte limitazione dei possibili interventi di tipo sanitario.
Questo per due ordini di ragioni: in primo luogo perché la complessità assistenziale relativa a pazienti gravemente compromessi, che sono gli attuali tipici utilizzatori delle RSA, mal si presta ad una presa in carico domiciliare, che richiede interventi ad elevato assorbimento di risorse professionali, e in secondo luogo proprio perché queste risorse drammaticamente scarseggiano, al momento, sul mercato del lavoro.
Quindi, si è superato con un certo pragmatismo il concetto di curare tutti a casa, praticamente insostenibile anche in ragione dei costi, assai superiori, sposando la linea, sostenuta anche dai tecnici del settore, della integrazione di funzioni. Si tratta di realizzare un continuum assistenziale che parta certamente dalla casa, come primo luogo per la valutazione e la definizione dei piani di intervento, per poi sviluppare le diverse tipologie assistenziali in relazione ai bisogni effettivi dei singoli anziani, tenendo specialmente conto di fattori ambientali, sociali, psicologici, economici e sanitari.
Da considerare inoltre che l’assistenza domiciliare non è certo la soluzione per la riduzione delle ospedalizzazioni, ma contribuisce ad un miglioramento della qualità della vita, sempre se rigorosamente improntata a criteri di appropriatezza tecnica ed applicativa.
La vera sfida, infatti, è l’assistenza personalizzata sulla base delle esigenze individuali.
Nello stesso modo appare improprio riferire alla vita di comunità le problematiche della solitudine e dell’abbandono tipiche della stragrande maggioranza delle realtà domiciliari, se solo si pensa che in Italia oltre il 56 % delle persone sole ha più di 60, e che nelle RSA, oltre alla vicinanza con altri anziani, sono svolte attività di animazione, intrattenimento, terapia occupazionale, riabilitazione, ed è costante il contatto con il personale, in genere giovane e motivato.
La pandemia ha forse riportato una narrazione di isolamento ed abbandono lontana dalla effettiva realtà delle nostre strutture residenziali, che hanno invece fortemente contribuito a preservare la vita e la integrità dei nostri anziani, proprio nei momenti più difficili dell’emergenza.
Occorre infine ricordare come finalmente, a seguito di un più attento esame della situazione italiana, che presenta una offerta di posti letto residenziali per anziani non autosufficienti inferiore alla metà della media dei paesi OCSE, si stia valorizzando la antica proposta di Anaste della “RSA aperta”, centrale multiservizi a presidio anche dei territori più periferici, centro di raccordo e di erogazione di servizi di assistenza domiciliare, semiresidenziale, di telemedicina, vero “ospedale di comunità” cioè componente fondamentale del sistema pubblico dell’assistenza territoriale, erogatore di prestazioni e servizi previsti dai LEA.
Si può aprire così una nuova stagione di integrazione e rafforzamento del sistema pubblico delle cure sul territorio, con l’avvertenza però che per ottenere un reale avanzamento della qualità dei servizi servono risorse, umane ed economiche, che al momento non sembrano disponibili : la scelta è quindi se veramente si desidera assicurare una vecchiaia soddisfacente e dignitosa, con un supporto concreto, a tanti anziani malati, soli, spesso indigenti, o se ancora una volta tale onere sarà riversato sui singoli e sulle famiglie.
Sebastiano Capurso
Presidente nazionale Anaste
Associazione nazionale strutture territoriali e per la terza età