«La nostra generazione è andata sulla luna, ma non siamo riusciti a costruire una città più appropriata al vivere contemporaneo». Così Mario Botta, il grande architetto ticinese, in una recente intervista a Luca Ribichini. Sembrano parole rassegnate quelle di Botta, da sempre difensore di una visione sacra dell’architettura, ma ci dicono l’esatto contrario: sono uno sprone ad apprezzarla l’architettura contemporanea, ad andare a cercarla in mezzo alle periferie come un diamante grezzo, a comprenderne il segno come una pennellata di Giotto.
Prendiamo Mario Ridolfi, uno dei più grandi architetti del Novecento, amato dagli addetti ai lavori ma dimenticato dal pubblico. Bisogna ringraziare Paolo Portoghesi, scomparso nel 2023, che da grande architetto e studioso qual era dedicò al maestro romano uno dei suoi ultimi libri, Mario Ridolfi architetto, 1904-1984, pubblicato egregiamente dall’Accademia di San Luca.
Non si tratta del solito libro di architettura per architetti ma di un racconto appassionante che fa capire come la bellezza – quella di un edificio pubblico, di una casa o di un dettaglio come una finestra o la ringhiera di un davanzale – possa rendere più gioiosa la vita e offrire a tutti, anche a chi di mezzi non ne ha molti, l’esperienza quotidiana del bello.
Ridolfi cominciò giovanissimo con alcuni edifici simbolo del Ventennio come l’Ufficio postale di piazza Bologna a Roma. Ma già in questo caso si capisce come il maestro pensava con la sua testa, senza allinearsi alle forme ufficiali del Razionalismo preferendo a esse superfici sinuose che ricordano curve barocche, in un dialogo armonioso con la luce.
Dopo la guerra Ridolfi trova pienamente sé stesso, soprattutto in un complesso di grandi edifici per abitazioni nella periferia nord di Roma, le Torri Ina in viale Etiopia, completate nel 1955 e oggi tutelate dallo Stato come architettura di pregio, caso unico in Italia. In questo caso ha ragione Mario Botta; la città cresciuta attorno a questi capolavori li ha schiacciati in una morsa di case anonime tirate su in un lampo nella Capitale del dopoguerra. Avvicinandosi a essi, però, ci si dimentica del caos tutt’intorno e si nota l’amore del dettaglio, la costruzione potente, il dialogo tra luce e forma che dona a questi edifici la presenza scenica delle torri medievali nei borghi murati. Per la prima volta la struttura portante dell’edificio è in vista dichiarando la sua anatomia ingegneristica attraverso possenti pilastri e architravi in cemento armato che si assottigliano verso l’altro come guglie gotiche; tra di essi le finestre delle case, grandi e piene di sole, sono incorniciate da pareti a intonaco colorato nei toni della Roma ottocentesca e sono arricchite, nelle logge, da ringhiere in ferro battuto con una rientranza all’intero per appoggiare piante e vasi di fiori. Un tocco romantico. Sotto alle finestre Ridolfi sistemò file di maioliche in ceramica dipinte a mano e da lui stesso disegnate a ricordare l’importanza del decoro, della tradizione artigiana della ceramica dipinta. Tra un edificio e l’altro non mancano giardini, con piazzole e sedute, affinché tutti gli abitanti del complesso potessero incontrarsi, conoscersi e socializzare. È il tentativo di rendere l’architettura uno strumento che consenta a tutti di aspirare al bello, vivendolo ogni giorno.
C’è un aspetto nel volume di Portoghesi che colpisce forse più di tutti ed è la bellezza dei disegni di Ridolfi. Sono planimetrie, alzati e dettagli tecnici rigorosamente realizzati a mano e tutti di una qualità che potremmo accostare a Piranesi, Bernini, ai grandi del passato. Ce n’è però uno che commuove per la sua poetica; si tratta dei disegni di maniglie per i portoncini di alcune case popolari costruite a Treviso, e ognuna è un caleidoscopio di forme ispirate alla natura e ognuna ha un nome diverso: Marisa, Elvira, Ida. Lina, invece, era il nome dell’amata moglie alla quale il maestro dedicò la casa più intima progettata nella sua vita, casa Lina, un piccolo villino nei pressi di Terni, che in pianta sembra una stella cometa, come atto simbolico di un percorso creativo che poteva sublimare solo nell’amore.
Fonte: L’Osservatore Romano – 10 febbraio 2025
Titolo originale: L’esperienza quotidiana del bello. «Mario Ridolfi architetto, 1904-1908».
Autore: Tommaso Strinati
[Articolo qui riproposto per gentile concessione del direttore del quotidiano pubblicato nella Città del Vaticano]