Nell’ormai lontanissimo tempo, a cavallo degli anni nei quali venne approvato il Piano Regolatore di Roma del 1965, il dibattito urbanistico si presentava sempre con l’obbiettivo di connettere ogni scelta importante, definita strategica, progettata o avviata, con il sistema generale delle funzioni e del disegno complessivo della Città. Anche successivamente, non sempre, ma di frequente, questo essenziale criterio ha animato confronti, prospettive, interventi di amministratori ed esperti intorno al difficile presente e l’ancor più incerto futuro dell’impianto urbano della Capitale.
Per la verità, dagli anni ’90 del secolo scorso, questo modo corretto è stato sostanzialmente abbandonato con l’avvento della modalità amministrativa del “pianificar facendo” e delle regole (non regolate) della “urbanistica contrattata” che, troppo spesso e con l’alibi del recupero di risorse, finivano per assecondare disegni e interessi privati, rispetto al principio dell’interesse generale, fino ad arrivare alla approvazione di un nuovo Piano Regolatore Generale del 2008 che, nella sostanza, acquisiva ciò che, appunto si andava, alacremente, “facendo”, mentre rimaneva sulla carta ciò che si riteneva fossero i progetti innovativi, cioè un policentrismo, comunque senza strategia e ispirato dal clima “contrattuale” imperante. Fallimento splendidamente descritto nella riedizione del saggio di Italo Insolera “Roma Moderna”, curata da Paolo Berdini.
Centocelle un quartiere della Roma periferica che, nel dopoguerra, aveva subito una trasformazione della tipologia edilizia da “villini” a “palazzine”, cioè una densificazione residenziale povera di servizi, rappresentava un esempio di quartiere “dormitorio”, evidente dimostrazione della necessità di un riscatto urbano, con le necessarie funzioni superiori e di servizi. Due aree immediatamente vicine al quartiere (l’area di Torre Spaccata e quella dell’Aeroporto) venivano inserite nella grande novità del PRG del 1965, come importante polo dell’Asse Attrezzato, poi Sistema Direzionale Orientale (SDO), di quella infrastruttura strategica, cioè, che non solo avrebbe trasferito funzioni direzionali e di servizio, decongestionando il Centro storico, ma avrebbe concorso, per la sua forza di attrazione, a riqualificare la periferia orientale della Città, che invece, slittava verso la diffusione di costruzioni abusive.
Particolarmente significative le dichiarazioni del sindaco di allora Amerigo Petrucci che, nell’aprile del 1966, indicava Centocelle come il “quartiere del Centenario” dell’unità d’Italia che sarebbe ricorso sei anni dopo, nel 1971. “Onorare il passato guardando all’avvenire”, dichiarava il Sindaco, con la necessità di accelerare l’attuazione del Piano Regolatore…dando l’avvio ”al Quartiere di Centocelle, attrezzandolo come secondo quartiere direzionale che si affianchi all’Eur, in attesa di essere a sua volta affiancato dal quartiere di Pietralata”. In particolare veniva sottolineato che “l’ex aeroporto di Centocelle ha una funzione determinante in tutti i nostri progetti per il nuovo quartiere”, ove “sarà possibile collocare gli insediamenti determinanti del quartiere stesso“.
Veniva auspicato dall’allora capo dell’amministrazione capitolina che “con precisi accordi con lo Stato” sarà possibile “l’insediamento di ministeri ed altri centri operativi”, oltre che “la creazione dei necessari servizi di base del quartiere medesimo”. Questo intento, attraverso il progetto della nuova direzionalità, pur nelle successive modifiche, veniva confermato con la delibera del dicembre del 1988 per l’affidamento del Progetto direttore che indicava “l’obbiettivo strategico della riqualificazione del settore orientale della città, in termini non solo di funzioni urbane direzionali e produttive, ma anche la realizzazione di centri integrati di servizi e di verde che trasformino la periferia in una parte integrante della città”, attraverso “una valutazione dei problemi e dei fabbisogni delle zone circostanti lo SDO”, con la finalità anche “di indurre interessi capaci di riqualificare anche il tessuto edilizio circostante”.
La politica capitolina successiva non riuscì mai a realizzare questo intervento così decisivo per la modernizzazione della Città. L’immagine della Roma moderna resta quella dell’unico quartiere di grande spessore urbano e architettonico, cioè l’Eur, progettato alla vigilia della seconda guerra mondiale, rivisto e completato con eccezionale competenza dal professor Virginio Testa, già segretario generale del Comune (allora Governatorato) e dalle amministrazioni cittadine che operarono sia con progetti altamente qualificati, determinando il trasferimento di Ministeri e realizzando nelle immediate vicinanze quartieri di edilizia pubblica progettati da Luigi Moretti. Questa dolorosa inadempienza è avvenuta anche per responsabilità della miopia governativa centrale – ridestatasi solo con l’approvazione della legge 396 del 1990 che ne previde la realizzazione all’art. 8 – e per l’influenza di una opposizione di sinistra, oltre che di settori produttivi e proprietari, mai convinti del disegno strategico dello SDO. Lo dimostra la fine dell’ultima possibilità di realizzarlo, esperita con il menzionato Progetto Direttore, commissionato, come già accennato, nel 1988 a Cassese, Scimemi e Tange, a guida Italstat, dalla giunta Giubilo, documento operativo prima smontato e ridimensionato, poi “messo nel cassetto” dalle giunte di sinistra che succedettero per alcuni anni.
Ne ha descritto, con puntualità e amarezza pari al suo impegno propositivo, Piero Samperi con il saggio richiestogli da Bruno Zevi “Distruggere Roma. La fine del Sistema Direzionale Orientale”.
Centocelle, come gli altri quartieri che si sono sviluppati fin sotto i Castelli romani e lungo le vie Prenestina e Tiburtina, ha pagato caro questa scelta, ovvero questa mancata realizzazione. Il quartiere e il settore urbano che lo comprende, rappresentano, assai emblematicamente, l’esigenza di una strategia urbanistica che punti alla realizzazione di quel policentrismo, delineato già negli anni ’60 e mai realmente avviato, anche per un adeguamento alle influenze speculative che a Roma hanno spostato l’asse degli interventi dalle aree vaste e strategiche a quella dei comparti a livello di quartiere e, spesso, di dimensioni più ridotte, indotte dall’assetto proprietario dei terreni e dallo spengersi della forza progettuale della politica capitolina.
Possiamo ricordare, perché vissuta in prima persona, la vicenda emblematica di come – contro la possibilità di realizzare, con le opere per i mondiali di calcio del ’90, presentata alla Presidenza del Consiglio dei ministri, una delle “porte” dello SDO, con il progetto del tunnel sotto l’Appia Antica, vistato dalla Regione, che avrebbe collegato l’Eur con il polo di Torre Spaccata e Centocelle – si scatenò una campagna di disinformazione e preannunciata, all’allora premier De Mita, una ostruzionistica opposizione parlamentare da parte del PCI che ne determinò la rinuncia da parte dell’amministrazione comunale, al fine di evitare il conseguente allungamento dei tempi di ratifica dei decreti per l’evento calcistico, che avrebbe compromesso la fattibilità delle altre opere. In quella sollecitazione, probabilmente non fu estraneo il conflitto di interessi imprenditoriali e politici che, nel passaggio di proprietà dell’area ex Gerini di Torre Spaccata, aveva visto prevalere Italstat rispetto a cooperative e imprese romane che, quindi, agirono di conseguenza.
Qual è il destino di quelle aree che avrebbero dovuto vedere la realizzazione del polo direzionale? L’area in questione di cui sopra è, attualmente, negli appetiti dell’Ente Cinecittà per allargare le sue strutture, cioè una prospettiva monofunzionale che non rappresenta, fino a prova contraria, cioè alla eventuale previsione di un progetto di centro integrato, nessun vantaggio per la riqualificazione urbana di quel settore della Città che avrebbe bisogno di una offerta di funzioni più ampia e diversificata. Alla sua acquisizione e valorizzazione si contrappone l’idea, presentata con raccolte di firme, di cancellare ogni ipotesi edificatoria e realizzare, nel cosiddetto “pratone”, un parco archeologico ambientale, pur non avendo, le Sovrintendenze competenti, riscontrato elementi sufficienti per giustificare un vicolo in tutta l’area.
La sorte dell’area dell’Aeroporto, d’altra parte, è stata segnata da tempo, quando, dopo la cessione della proprietà da parte dello Stato al Comune di Roma, si susseguirono una serie di vicoli da parte della Soprintendenza Archeologica che andarono oltre quelli già applicati, forse con maggiori giustificazioni, nel 1965. Oggi la quasi totalità delle aree comunali, cioè i 107 ettari, sono vincolati, senza che da parte delle amministrazioni di allora, sia stata fatto molto per mantenerne una utilizzazione, ma la stessa ultima stesura, a suo tempo, del Progetto direttore, ha finito per prenderne atto. A questo proposito sarebbe da rilevare un aspetto deplorevole delle tendenza dell’urbanistica romana, con la realizzazione di zone verdi in aree di proprietà pubblica, indirettamente favorendo la valorizzazione di altre aree private, fino alla adozione, dagli anni ’90, di quei meccanismi che consentono compensazioni applicabili al trasferimento di diritti edificatori, prevalentemente di vaste superfici.
Ora, qual è la questione reale per questo settore della Città? Due grandi aree destinate a dotare di verde pubblico i quartieri prospicenti, rispondono alle esigenze complessive solo parzialmente e per aspetti meno urgenti, in quanto assecondabili con le aree attrezzate dei parchi dell’Appio Claudio e a fronte di Cinecittà, oltre lo stesso non lontano parco dell’Appia Antica. La stessa idea della Città in 15 minuti, vaga e problematica proposta nel programma della giunta attuale, richiederebbe progetti di offerta di servizi e attività in aree periferiche, i cui residenti, come accade quotidianamente, devono recarsi in altre zone della Città, incrementando i problemi di un traffico caotico sulle radiali e sulle poche tangenziali, non risolvibile con i mezzi pubblici.
Per concludere, una notazione esplicativa per comprendere la questione dello sviluppo della Città di Roma. In buona sostanza la politica urbanistica della Giunta Gualtieri, appare ormai definitivamente orientata ad operare nella prospettiva delle giunte di sinistra che l’avevano preceduta, Cinque stelle compresa. Cioè nel perseguire un disegno accentratore che mantenga, cioè, il primato del Centro storico. Se pensiamo ai poli previsti dal Prg del 1965, cioè al Tiburtino con l’impatto della Stazione ferroviaria e delle linee su gomma, oltre ad alcuni importanti insediamenti direzionali; allo Stadio della Roma in progettazione a Pietralata che sostituirà la previsione di altre funzioni urbanistiche ed, eventualmente, alle ipotesi di intervento a Torre Spaccata; se anche si riuscirà a realizzare qualche altra previsione delle polarità previste, la loro forza attrattiva si svilupperà in senso radiale, essendo del tutto insufficienti i collegamenti tangenziali, non solo per la cancellazione della modalità strutturale del trasporto pubblico – linea metropolitana – e privato – asse stradale – prevista per lo Sdo, ma anche per la riduzione delle tangenziali interne al Raccordo, decisa con l’ultimo Piano Regolatore. Non solo, le infrastrutture più importanti del trasporto pubblico, cioè la linea C in costruzione e la prevista linea D, che attraversano il Centro storico, presentano uno sviluppo radiale e, quindi, confermano definitivamente la visione di una Città che continuerà a gravitare sul Centro. A questo punto lo sbandierato policentrismo, con le nuove previsioni, se pur in parte verrà realizzato, non avrà modo di avere una portata urbanistica adeguata per una Città che affronti e risolva i suoi atavici problemi dell’abitare, del lavorare e del muoversi.
È un po’ come il progetto del cosiddetto “Central Park di Centocelle”. Pur comprendendo – soprattutto da parte di chi ha avuto analoghe responsabilità – le oggettive difficoltà di operare in un complesso tracciato di normative e risorse, il Sindaco Gualtieri si è espresso con una enfatizzazione comunicativa al fine di valorizzare qualcosa che, a parte la possibilità di fruire di una ampia area verde, nella quotidianità, purtroppo, lascerà gli abitanti del quartiere nella stessa condizione di alienazione rispetto ai loro problemi di mancanza servizi sufficienti, di lavoro, di libertà di movimento, di luoghi di reale e sicura socializzazione.
Non si può non rilevare che, nelle condizioni date, gli abitanti delle periferie non vivono in una condizione urbana accettabile e non sarà un grande parco a renderli cittadini. Viene da sorridere quando si abbia nella memoria l’immagine del grande parco newyorkese, contornato da edifici di pregio, centri direzionali internazionali, luoghi ove si decidono le finanze mondiali, con le sue diffusissime reti metropolitane. Centocelle non è Manhattan, proprio come l’ex Aeroporto non è il Central Park. E Roma resta nei suoi immensi problemi irrisolti, mentre cresce la confusione sul futuro suo e di una parte notevole della Città sempre più periferica.