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Salvini al battesimo dei trumpiani d’Europa, Patrioti carichi per la ‘Reconquista’

Madrid, 8 feb. (askanews) – “Cambiamento globale”, “momento storico”, “protagonisti della rinascita dell’Europa”, “rivoluzione del buon senso che sta risvegliando l’intero Occidente”. “Il 2025 nel continente sarà l’anno della Reconquista cristiana” contro la “gabbia di Bruxelles”. Il vento che soffia dagli Usa ha galvanizzato, non poco, l’ultradestra del gruppo dei Patrioti europei, a Madrid per il summit ‘Mega’, Make Europe great again, mutuato dal ‘Maga’ di Donald Trump definito un “tornado” da Viktor Orban, il premier ungherese nonché fondatore del partito dei Patriots che riunisce 15 partiti da 13 paesi (per un totale di 19 milioni di voti raccolti alle ultime Europee).Non mancano i riconoscimenti a Elon Musk che il Mega lo ha rilanciato, ancora ieri, sul ‘suo’ social X.

Trump è nei discorsi di tutti i leader, mentre Kevin Roberts, presidente della Heritage Foundation, il think tank ultra conservatore Usa, è seduto in platea con aria sorniona. Il vicepremier e leader della Lega Matteo Salvini ha invitato a “fare a casa nostra quello che Trump in pochi giorni sta facendo in Usa” sottolineando che “l’Europa è libertà, il burqa non è Europa, il gender non è Europa, il terrore e la violenza islamica non sono Europa, l’Europa non è il suicidio green né l’immigrazione selvaggia”. Marine Le Pen, del Rassemblement national, è netta: “l’elezione di Donald Trump non può essere analizzata solo come una semplice alternanza politica in un paese democratico e neppure solo come il sussulto patriottico di una nazione che giustamente respingere le forze del declino. Noi siamo di fronte a un vero e proprio cambiamento globale. Tutti capiscono che qualcosa è cambiato”. Per Orban “l’amico Trump” segna la “fine di un’era”, quella dei “burocrati e del super stato” di Bruxelles.

Obiettivo dell’evento di Madrid, dal sapore di una voluta autocelebrazione, è ostentare unità. Solo l’unione può fare la forza e ironia della sorte si appropriano delle idee di Karl Marx che nel Manifesto scritto a metà ottocento con Friedrich Engels si rivolgeva ai “proletari di tutti i paesi” e li esortava: “unitevi” guardando all’internazionale comunista. Qui il sogno è l’internazionale della destra.

Salvini lo dice chiaramente: i Patrioti hanno “il dovere di unirsi, senza divisioni inutili” per dimostrare di “essere pronti a governare in tutto il continente”. E non solo all’interno del gruppo dei Patrioti: in vista delle elezioni tedesche invita a votare le “forze patriottiche”. Il padrone di casa, il leader spagnolo di Vox Santiago Abascal, fa nomi e cognomi augurando ad “Alice Weidel” di Afd di vincere. D’altronde è stato proprio Musk a sponsorizzarla come “l’unica speranza per la Germania”. Anche se a domanda diretta, mente si avvia all’uscita, su un eventuale endorsement alla formazione con simpatie neo-naziste, Alternative fur Deutschland, Marine Le Pen preferisce non rispondere. Ma è un muro che sembra sgretolarsi, come quel ‘cordone sanitario’ che, protestano, ha tenuto fuori dai giochi delle alleanze di governo l’ultradestra.

I Patrioti suonano inoltre la ‘sveglia’ al Ppe. “Smettete di collaborare con i socialisti e la sinistra a Bruxelles e in troppi paesi europei. Dovete scegliere tra il passato di Soros e il futuro di Elon Musk. Noi abbiamo scelto”, ha esortato Salvini che è al governo con Forza Italia e provocando una replica piccata che mette il dito nella piaga: “siamo centristi, europeisti e moderati, distanti da certe posizioni sovraniste che vediamo emergere in Europa e che spesso risultano contraddittorie e divisive”.

La personificazione del nemico dei ‘Mega’ è rappresentata dai premier spagnolo Sanchez e da quello tedesco Scholz, presi di mira e irrisi. Nemica è sempre Bruxelles, in primis Ursula Von Der Leyen che nel suo ‘bis’ come presidente della commissione ha ottenuto il sostegno dei Fratelli d’Italia della premier Giorgia Meloni (con il ruolo assegnato a Raffaele Fitto) ma non della Lega e dei Patrioti e, non appena viene nominata da Salvini per darle addosso, è inondata di “buuuu” dal pubblico del summit. “E’ ora di smettere di finanziare gli organismi sovranazionali, come l’Oms, che difendono gli interessi delle multinazionali e non dei cittadini, o realtà come la Cpi che mette sullo stesso piano i terroristi di Hamas e un premier liberamente eletto come Bibi Netanyahu”, ha sottolineato Salvini confermando la totale adesione alla ricetta di Trump.

La sala della kermesse da 2mila posti, in un grande albergo vicino all’aeroporto (il Marriot auditorium hotel), è piena di simpatizzanti con le bandierine dei propri paesi, illuminazione da discoteca, tra fasci di luce fredda su sfondo blu, 248 giornalisti accreditati e 93 cineoperatori, magliette bianche con la cattedrale dell’Almudena di Madrid e la scritta ‘Hacer Europa grande otra vez’, cappellini, braccialetti con la scritta patriots.eu ma i colori della Spagna (rosso-giallo-rosso), a tradire, nell’unità esibita, l’orgoglio nazionalista.

Il protocollo è rigorosissimo, i giornalisti sono tenuti lontani dai leader che, finita la giornata, si infilano dietro il palco. Resta senza una risposta, al di là degli slogan, la contraddizione, forte, di euro-scettici che si propongono come il “futuro” di un’Europa “delle Nazioni, dei popoli e delle identità”. A mettere alla prova il servizio d’ordine l’irruzione di un piccolo gruppo del movimento Femen con un’attivista che sul petto nudo si è scritta “Make europe antifascism again” e grida “Il fascismo non avanzerà”, prima di essere fermata e portata fuori.

Pure il vicepremier Salvini decide di non fare un punto stampa. Le domande sarebbero tante, soprattutto quelle di politica interna, dalla competizione con la premier Meloni che si è messa le vesti di pontiera tra gli Usa e l’Europa, unica premier europea ad essere invitata nel giorno dell’investitura di Donald Trump alla partita sul terzo mandato per le Regionali di Lombardia e Veneto, dai distinguo del ministro leghista dell’Economia Giancarlo Giorgetti che tiene stretti i cordoni della borsa alla ‘mina vagante’ di Roberto Vannacci, fino alle spine in Regione Lazio dove la Lega ventila la minaccia di ritirare i suoi assessori dalla Giunta del Fratello d’Italia Francesco Rocca.