Articolo pubblicato dalla rivista Treccani a firma di Arnaldo Testi

Un fantasma si aggira nelle stanze del Partito democratico e nei salotti dei commentatori delle primarie presidenziali, ed è il fantasma di George McGovern e delle elezioni del 1972 – quelle, come ognun sa, perdute contro un trionfante Richard Nixon (trionfante ancora per poco, ma allora chi poteva saperlo). Il fantasma è ovviamente evocato dai successi di Bernie Sanders di queste settimane. Ed è giusto che sia così, perché McGovern e la campagna di cui fu protagonista furono un grande esperimento politico e ideale che coinvolse la sinistra del partito; furono anche una sconfitta storica dei democratici e una svolta periodizzante nella storia del Paese.

E dunque. George McGovern (scomparso novantenne nel 2012) era un senatore progressista midwestern, un democratico del North Dakota, attento ai nuovi fermenti sociali, oppositore della guerra in Vietnam, un outsider non notissimo della politica d’apparato ma suo buon conoscitore. Mezzo secolo fa, sull’onda della sconfitta democratica e della prima elezione di Nixon nel 1968, si mise a capo di una missione audace: fondere sotto l’ampia tenda del suo partito la tradizione progressista dei diritti sociali, liberal e sindacale, erede del New Deal, che ne era stata fino ad allora il cuore, con la nuova sinistra figlia del radicalismo e dei diritti civili e culturali degli anni Sessanta. La missione si dimostrò audace e difficile.

E alla fine, almeno nell’immediato, impossibile.

I nuovi movimenti giovanili (nel 1971 un emendamento costituzionale estese il diritto di voto ai diciottenni), studenteschi, antiguerra, afroamericani, e i nascenti movimenti ambientalisti, femministi e LGBT, costituivano interessanti serbatoi elettorali e progettuali, ma erano guardati con sospetto od ostilità dagli ossificati apparati del partito, soprattutto locali. Per scavalcarne la resistenza alcuni gruppi della leadership nazionale democratica promossero una importante autoriforma, di cui ancora oggi vediamo i risultati. Moltiplicarono infatti a livello presidenziale le elezioni primarie dirette, con un sistema di quote che garantiva la rappresentanza nella Convention nazionale di donne e uomini, bianchi e neri, altre minoranze. Ciò avrebbe favorito, si pensava, l’emergere di candidati non di apparato.

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