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giovedì, 18 Dicembre, 2025
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Sandokan, tra fiaba e geostoria

Rito di iniziazione, amore e utopia nel mito televisivo che unisce avventura, politica e immaginario collettivo.

Come milioni di italiani, sono rimasto di nuovo affascinato dal Sandokan televisivo di Rai1, come da bambino.

Uno dei motivi della seduzione della vicenda del “figlio della tigre” risiede, a parer mio, nella compresenza di ingredienti della fiaba e di ingredienti della geostoria. Da un lato, come per ogni fiaba che si rispetti, si tratta – come direbbe Propp – di un grande rito di iniziazione, sia per il re dei pirati sia per Marianna: una prova con mille insidie e difficoltà, fino al lieto fine.

Dall’altro, vi è un’articolazione geostorica degli eventi che supera abbondantemente gli schemi favolistici, assai semplici: il Console inglese, il Sultano, Londra e l’Italia sullo sfondo, i pirati, vicini alle tribù indigene ma da esse distinti. E poi vi è un legame sentimentale – quello, appunto, tra la figlia del Console, vera e propria eroina, e l’eroe – che oltrepassa di gran lunga lo schema fiabesco principessa–principe azzurro. Vi sono pathos, tensione reciproca, tormento, misteriosa alchimia d’amore, intesa fisica ed emotiva.

E, come molti hanno osservato, iconica è l’ultima scena: un grande uomo e una grande donna al timone di una nave, protesi verso un’isola mitica, verso l’utopia. Sospesi tra il sogno e l’orizzonte, tra il desiderio di giustizia sociale e la felicità di coppia.