Non vorrei che fosse equivocato il giudizio sulla candidatura, non ancora ufficiale, di Carlo Calenda a Sindaco di Roma. Per chiarezza esprimo subito consenso. Si tratta di una ipotesi che apre un varco alla speranza: infatti, l’esperienza ricca e feconda dell’ex ministro può dare una spallata al pessimismo di romani e non romani sul futuro della Capitale. A questo riguardo non ci sono dubbi. Il problema semmai sta nella ‘logica’ di un annuncio che adombra l’ennesimo scivolamento nella personalizzazione della lotta politica. Prima viene la candidatura, poi i programmi e le alleanze.

Non risponde, questa logica, al nostro modo di pensare. Ad  ogni buon conto, Pierluigi Castagnetti sostiene che l’ingresso in scena di Calenda rappresenta una vera benedizione per Roma. Lo dice, evidentemente, per scuotere il Pd dall’incertezza. È una premura comprensibile, a patto che non si riduca alla dialettica tutta interna ai Democratici. Serve uno sguardo più ampio, anche per rendere effettivamente, come forse tutti conveniamo, più ampio lo schema di riferimento della candidatura in pectore. Calenda, d’altronde, ha la possibilità di abbattere le paratie che separano artificialmente molti elettori di centro, privi oramai di adeguata e conforme rappresentanza.

Un’osservazione comunque va messa a verbale. Era preferibile invertire l’operazione e fare, dunque, della riorganizzazione dell’area liberal-popolare il perno della possibile proposta. Però a che vale,  giunti a questo punto, la precisazione? Bisogna prendere di petto la scommessa di un grande rilancio, ciascuno con le proprie idee, a vantaggio di una Roma desiderosa di riscatto. Vedrei volentieri in questa impresa un valido apporto dei Popolari. Sulla scorta dell’insegnamento di Sturzo, il programma non può essere sganciato da una formula d’ingaggio. Non siamo, appunto, per la politica a misura di leader; anzi, ci ostiniamo a credere da sempre che il leader è piuttosto l’interprete di una politica.

Siamo di fronte a una novità interessante. Il popolarismo non ristagna nelle acque morte della ricognizione dei problemi e delle aspettative. Nella lotta democratica c’è l’esigenza di una reale capacità d’iniziativa. È lodevole, ma non basta, l’appello a riscoprire la propria identità. Ora, se Stefano Zamagni sollecita un nuovo impegno dei cattolici, specie a partire dalle realtà amministrative locali, dovremmo ragionare tutti insieme  sul  modo di forgiare, attorno all’ipotesi Calenda, questa dichiarata volontà di rimobilitazione, nel segno, appunto, di una nuova politica d’ispirazione cristiana. Il tempo, almeno a Roma, adesso stringe.