Se la questione dc non è più un tabù…

Il Papa ricorda l’esempio dei cattolici nella ricostruzione del Paese. C’è una lezione da riscoprire nella lunga esperienza della Dc. Servono nuove proposte per formare la classe dirigente di domani.

L’intervento di Papa Francesco durante la Settimana Sociale dei Cattolici, svoltasi recentemente a Trieste, non ha avuto sulla stampa e i media nazionali (salvo rare eccezioni) la giusta risonanza per gli importanti contenuti espressi sul piano politico, in particolare sul ruolo dei cattolici nella fase di ricostruzione e sviluppo del Paese successivamente alla fine del conflitto nel 1945.

Una frase del discorso Papa Francesco merita grande attenzione. In Italia è maturato lordinamento democratico dopo la Seconda guerra mondiale, grazie anche al contributo determinante dei cattolici. Si può essere fieri di questa storia, sulla quale ha inciso pure lesperienza delle Settimane Sociali; e, senza mitizzare il passato, bisogna trarne insegnamento per assumere la responsabilità di costruire qualcosa di buono nel nostro tempo.”

Nel testo la Dc non è citata espressamente, ma dalla dissoluzione del partito nella prima metà degli anni ‘90, nessuno aveva riproposto con tale autorevolezza, la centralità dell’esperienza politica democristiana nel rilancio democratico delle istituzioni e per un progetto di Paese inclusivo e in grado di competere economicamente nel mondo libero.

Per decenni si è stesa una sorta di silenzio mirato a dimenticare gli anni della Dc, con la tendenza inoltre da parte di diversi esponenti di culture politiche oltranziste, di destra e di sinistra, ad evidenziarne esclusivamente aspetti negativi e funzioni conservatrici o limitative di presunti diritti.

L’intervento di Papa Francesco restituisce invece una giusta lettura della lunga storia democratico cristiana italiana. Nessuno nega l’importanza di altre esperienze politiche nella costruzione della democrazia postbellica; infatti, la grandezza del pensiero e del “metodo democristiano” ebbero proprio la massima espressione politica proprio nella capacità di unire le forze democratiche e riformatrici, non guardando soltanto all’immediato, ma pensando alle prospettive di governo e di crescita del Paese. Del resto, la centralità della Dc nei suoi cinquanta anni di vita democratica ha garantito, attraverso il consenso elettorale, continuità e stabilità di governo al di là delle numerose compagini governative alternatesi. Quello che ironicamente viene ancora definito l’equilibrismo politico della Dc e dei democristiani, finalizzato al solo scopo di rimanere al potere, andrebbe invece tradotto nella capacità di ricercare il punto di equilibrio e mediazione, una delle principali risorse della storia democristiana.

Una storia che ha lasciato un’impronta indelebile attraverso la capacità di essere il principale garante del patto costituzionale, di rispondere alle necessità di crescita economica e sociale, proiettando il Paese tra le prime potenze economiche al mondo e assicurando contemporaneamente un progressivo bilanciamento tra classi sociali, per realizzare spazi di partecipazione democratica diffusi, con un welfare inclusivo e solidale. E ancora, una visione da protagonisti nel contesto internazionale pur nella fedeltà all’alleanza occidentale ed atlantica, con lo sguardo rivolto al dialogo tra culture e forme di governo diverse e soprattutto con la partecipazione attiva al grande ideale dell’unità europea. Il tutto sostenuto da gruppi dirigenti competenti, certamente in grado di misurarsi sul piano internazionale.

Insomma, un’esperienza fondamentale nella storia democratica del Paese, che andrebbe ricordata stabilmente e con oggettività nel dibattito politico e culturale odierno. Il tentativo di ridurre la Dc soltanto alla funzione di argine (necessario) al più forte partito comunista dell’Occidente, oppure alla rappresentazione di un potere piegato al malaffare (giudizio ingeneroso e generico), come qualcuno ancora tenta di riproporre, non soltanto aggira e misconosce la verità di fondo, ma non rende onore a quanto consegnato in eredità alla democrazia italiana. Nessuna “mitizzazione” del passato, come afferma Papa Francesco, ma una corretta descrizione di un’importante fase politica della storia italiana.

Certo, ai giorni d’oggi l’esperienza del partito della Dc non è più riproponibile. La storia del Paese è cambiata e l’unità dei cattolici in un unico “contenitore” politico non avrebbe le stesse prospettive elettorali ed organizzative della Dc. Il bipolarismo alimentato dall’attuale sistema elettorale maggioritario, ma confermato anche dai risultati proporzionali delle ultime elezioni europee, è la riprova di questo assunto. È però molto sentita l’esigenza di riscoprire quel metodo, quella funzione unificante, quelle competenze e quella visione complessiva del Paese, insomma quella cultura politica, di cui abbiamo bisogno per ricucire il tessuto sociale interno e rilanciarne l’azione europea e internazionale.

Allora cosa fare? Alcune idee da proporre nel dibattito sul tema: dapprima proporre un diffuso e capillare progetto formativo che guardi alla costruzione di nuovi gruppi dirigenti, guardando alle università, alle istituzioni culturali e all’associazionismo; dare spazio poi, in seno a forme associative organizzate, a tutti coloro che si riconoscono nei valori precedentemente espressi; ipotizzare una piattaforma programmatica basata su una nuova dimensione di autonomia e concretezza della politica, (partecipazione e libertà democratiche, equilibrio ed inclusione sociale, diritti e centralità della persona).

Lanciamo questo appello e scriviamo questo manifesto assieme a tutti coloro che possano concorrere ad un rinnovato riformismo. È tempo di mettere in campo nuove proposte per costruire una nuova classe dirigente che vada oltre gli eccessi del populismo, degli approcci ideologici e delle forme di intolleranza di cui oggi soffre la politica, in Italia e non solo.