Articolo pubblicato sulle pagine dell’Osservatore Romano a firma di Mario Panizza
I cento anni del quartiere romano della Garbatella non costituiscono un compleanno isolato. Dopo la fine della prima guerra mondiale si avviano in Europa molti programmi di ricostruzione, spesso collegati alla ripresa e al potenziamento dello sviluppo industriale.
Non si tratta di quartieri esplicitamente operai, come i villaggi storici di Crespi D’Adda (Bergamo, 1878), Krupp nella Ruhr (1847), New Lanark in Scozia (1786), ma di interventi di edilizia popolare, anche pubblica, rivolta a promuovere aree residenziali, ordinate e soprattutto dotate di quei servizi, complementari come il verde e i trasporti, indispensabili per rendere concreto e vivibile l’impianto abitativo.
Da questi interventi è possibile ricavare indicazioni preziose sul progetto della città contemporanea. Tutti, o quasi, sono sostenuti da un piano disegnato, misurato nelle quantità e, soprattutto, corrispondente a chiari intendimenti imprenditoriali. La gran parte di essi, a distanza ormai di un secolo, propone soluzioni dove il modello residenziale garantisce ancora buone condizioni di vivibilità e relazioni sociali attive.
Negli anni in cui è realizzata la Garbatella, a Berlino si portano avanti diversi insediamenti, firmati da architetti di valore, tutti impegnati nella ricerca di modelli abitativi fedeli al razionalismo funzionale, ma anche attenti a un inserimento ambientale personalizzato da un forte richiamo espressivo.
Tra tutti emerge il Quartiere di Berlin Britz, progettato da Bruno Taut e inaugurato poco dopo la Garbatella. Sono gli anni in cui Berlino registra una notevole crescita della popolazione; di conseguenza, emerge il tema della residenza e la necessità di affrontarla in una programmazione su tempi lunghi. Taut, sostenuto da una ricerca molto fertile e dallo spirito progressista della linea socialdemocratica, porta avanti il disegno innovativo di una costruzione immersa nel verde e contenuta nei costi, perché attenta a perseguire scelte di razionalità che prevedono anche l’eliminazione delle aggiunte ornamentali della casa borghese.
Accolta subito con favore, si è prestata a soddisfare le esigenze di una classe operaia pronta ad abbandonare gli ottocenteschi, insalubri, blocchi urbani. Berlin Britz disegna un impianto, chiaro nel suo insieme, contraddistinto dalla ripetizione di unità abitative, ordinate da una rigorosa aggregazione seriale. Con la forma di un grande ferro di cavallo si apre su un’area verde che racchiude un ampio spazio destinato al tempo libero, con al centro un piccolo lago.
Il tutto costruisce un ambiente che, con grande intensità, rende il clima di un’accorta disposizione di elementi naturali. La sua composizione abbandona il modello della casa isolata per configurare un insediamento unitario, di grande dimensione, destinato a offrire alle classi meno agiate una residenza “autorevole” che, come un “palazzo” nobile costruisca un’impronta riconoscibile, ben ancorata sul territorio.
La condizione d’insieme è riposante e, unita alla comodità di muoversi, usufruendo di treni urbani, favorisce la duplice sensazione di sentirsi all’interno di una comunità protetta e, allo stesso tempo, di essere parte di un tessuto che lega molti centri. I nuovi quartieri entrano in relazione diretta con i borghi che hanno formato nel tempo la città di Berlino.
Sempre in quegli anni, ad Amsterdam, Berlage imposta un piano urbanistico destinato a guidare alla scala territoriale lo sviluppo dell’intera città. Il progetto si affida a un disegno formalmente concluso, dove tutte le componenti sono programmate per sostenere gli accrescimenti futuri, senza rischiare di incorrere in paralizzanti imprevisti. Il verde, i trasporti, le residenze, le aree industriali riempiono campi con tanta precisione che, anche a distanza di cento anni, riescono a sostenere il mutare delle esigenze, comprese quelle legate all’incremento del trasporto privato.
All’interno del Piano territoriale di Berlage si sviluppano alcuni insediamenti, soprattutto nell’area sud della città, dove la ricerca architettonica pronuncia un’espressività molto marcata. Le singole opere rispondono a criteri compositivi comuni, che accettano la linea della continuità materica e la logica della modellazione morbida degli involucri, offrendo tuttavia soluzioni individuali differenziate, pronte a interpretare ruoli di vero e proprio protagonismo urbano. Come a Berlino, il quartiere beneficia negli anni del rispetto della città: non è sopraffatto dalle nuove costruzioni e le parti realizzate negli anni Venti del secolo scorso rimangono sufficientemente integre e, soprattutto, separate dalle espansioni successive.
La Garbatella, sorta su un’area agricola scarsamente abitata, attraversata per secoli dai pellegrini che percorrevano via delle Sette Chiese, esprime una logica progettuale dissimile da quella dei due esempi di Berlino e di Amsterdam: il suo modello abitativo si colloca in una dimensione che sconfina nell’idea di borgo, distante dal riferimento del comparto urbano. Destinata a ospitare gli sfollati provenienti dalle demolizioni della Spina di Borgo e di via dei Fori Imperiali, è un quartiere che offre, soprattutto ai suoi residenti, un’ampia dotazione di servizi che qualificano l’intero comprensorio: il teatro, il mercato, l’albergo, ecc. Negli anni alcuni di questi edifici hanno ovviamente cambiato destinazione d’uso perché molte funzioni hanno trovato sistemazione all’interno dei singoli alloggi. Così il diurno è stato recentemente recuperato e trasformato in una biblioteca popolare.
La Garbatella, dopo la posa della prima pietra il 18 febbraio 1920 da parte del re Vittorio Emanuele III, viene realizzata nel decennio successivo durante il pieno sviluppo edilizio che fa seguito alla fine della guerra.
La qualità edilizia, fin dai primi edifici, è alta, affidata alla sapienza costruttiva di molti architetti, tra cui Gustavo Giovannoni e Innocenzo Sabbatini, cui si deve il carattere un po’ barocco e un po’ medievale, che pervade la decorazione delle facciate. Il suo impianto morfologico e tipologico registra tuttavia negli anni un cambiamento progressivo: dopo le prime costruzioni, intorno a Piazza Benedetto Brin, dove il rapporto tra aree verdi e aree edificate è molto generoso, gli spazi liberi tendono a ridursi.
La Garbatella, al contrario dei due quartieri di Berlino e di Amsterdam, è costretta a subire l’invadenza della città che le cresce intorno: parte della sua qualità iniziale è alterata da superfetazioni e intasamenti; soprattutto i bordi sono compromessi dalle nuove costruzioni, di dimensioni molto maggiori, che vengono accostate senza soluzioni di continuità. Per lungo tempo questo quartiere non è stato considerato un insediamento particolarmente degno di nota e, proprio per questo, è risultato facilmente aggredibile da una latente speculazione che, come detto, ne ha sbiadito i caratteri in non pochi punti. Anche il suo nucleo storico, quello della città giardino, è stato parzialmente compromesso.
Oggi la Garbatella, anche grazie a questa ricorrenza “centenaria”, vive una condizione di particolare tutela che la protegge da incursioni speculative, comunque sempre possibili. Il suo carattere e la sua personalità sono ormai acclarati, anche se, ma ormai solo per pochi, continua a rappresentare un’architettura minore, almeno rispetto alle sperimentazioni portate avanti negli stessi anni nell’Europa centrale e settentrionale. La sua protezione si appoggia, oltre che sulla qualità dell’architettura, sui valori di socialità e di vivibilità che permangono solidi e robusti, nonostante la città, che viviamo ogni giorno, sembra smarrire talvolta i suoi punti di riferimento.
I tre esempi, presi in esame in occasione dei loro vicini compleanni, costituiscono momenti alquanto significativi dell’architettura moderna. Anche se con valori differenti, indicano un modo di affrontare la crescita della città attraverso regole disegnate e prescrizioni capaci di governarne lo sviluppo. A Roma l’obiettivo di progettare la città sembra appannato, sostituito da indici di densità che, se non vengono accompagnati da proiezioni formalizzate, rimangono valori astratti, del tutto inadeguati a controllare l’esito di quanto ci si propone di realizzare.
In mancanza di un modello urbano, che potrebbe rifarsi come termine di riferimento proprio alla Garbatella, si sviluppano ragionamenti, limitati a tracciare solo quantità, senza incontrare la giusta attenzione per coinvolgere gli operatori sia pubblici che privati a investire nell’adeguamento delle esigenze della città futura.