Come riportato recentemente dal Corriere della Sera il Governo di Singapore fa le cose sul serio in quanto a politica espansiva nella gestione dei sistemi portuali italiani. Nella fattispecie e sottolinea il Corriere senza che il Governo italiano, in primis Palazzo Chigi,  abbia sollevato una questione di “golden share” (cioè di controllo degli investimenti stranieri su asset strategici per il nostro Paese) –  la fusione di PSA Genova Pra’ (con sede e direzione generale a Singapore) e SECH con sede a Genova ha creato in quel di Genova un colosso in grado di contendere il mercato del trasporto via mare e delle strategie portuali a MSC e alla cinese COSCO. Mentre PSA è già un colosso mondiale  al suo confronto SECH è realtà piccola e locale: l’operazione consiste quindi nell’inglobare SECH in PSA. 

Tradotto in soldoni ciò significa che il gigante PSA avrà la quota azionaria di maggioranza per la governance dei due terminal containers del Porto di Genova, il SECH (terminal contenitori di Genova spa che gestisce la Calata Sanità) e il PSA di Pra’, ormai diventato il più importante terminal import-export italiano.

Si aggiunga l’alleanza cinese con la Maersk (il primo gruppo armatoriale  per il trasporto dei container al mondo) nel porto di Savona mentre nel mirino finisce anche La Spezia dove c’è il terminal di Contship con MSC.

Se due più due fa sempre quattro, sia da noi che al Sol Levante, l’obiettivo di espansione riguarda tutto l’indotto portuale del Tirreno settentrionale.

Sarebbe interessante conoscere la posizione del Governo,  nella fattispecie del Ministero delle Infrastrutture e di quello dello Sviluppo Economico e delle Attività Produttive su questi passaggi di mano di azionariato che creano nuove concentrazioni, danno la stura a nuove strategie e disegnano scenari inconsapevoli per i cittadini italiani che – abitando da quelle parti –  si interrogano a ragione sul destino della futura configurazione urbanistica fronte-mare , anzi fronte porto.

Come se quella attuale, sul piano della sostenibilità ecologica e della qualità della vita non fosse già abbastanza compromessa. Qualcuno rivendica: «padroni a casa nostra». 

Ma questi scenari futuri incommensurabili sono forse dettagli che non ci riguardano? 

Eppure chi vive in quei contesti territoriali avverte un senso di declino inarrestabile: basta osservare lo sfascio ecologico che ha cambiato i connotati all’estremo ponente cittadino di Genova, di fronte al quale è andato edificandosi e ampliandosi una sorta di ecomostro che mette a dura prova la vita e la resistenza psicofisica di chi vive di fronte al porto di Genova Pra’.

Chi è nato in riva a quel mare ha visto a poco a poco deteriorarsi l’ambiente in cui ha vissuto fino ai primi anni 90. Nel 1992 l’iniziale terminal si è progressivamente ampliato ed è stato inglobato nel PSA nel 1998: il porto di Genova Pra’ è diventato una struttura portuale che ha cambiando i connotati ambientali, degradato il contesto, condizionato la sostenibilità e l’armonia dell’insieme. Se uno fosse stato lontano da quel posto negli ultimi 30 anni e ora tornasse dovrebbe chiedere: “Dove siamo qui?”. “Questo” porto è diventato l’icona mondiale dello stravolgimento ambientale: ora davanti alle case il mare non si vede più, solo uno sterminato ammasso di container, con relativi rumori assordanti, polveri, inquinamento della terra e del mare. Dato che il precedente Governo per iniziativa del Ministro dello Sviluppo Economico aveva sottoscritto  un “memorandum” d’intesa” con la Cina che – al punto 29 – prevedeva che “China communications construction company” avrebbe dovuto stipulare un accordo con le Autorità Portuali di Sistema del Mar Ligure Occidentale (Genova, Pra’, Savona e Vado Ligure) e del Mare Adriatico Orientale (Trieste e Monfalcone) per rendere questi porti “i terminali in Europa della via della seta”, sarebbe interessante fare il punto della situazione. Di carne al fuoco ce n’è molta e andrebbe spiegato alla gente quale futuro si ipotizza, tra fusioni, espansioni, destinazioni territoriali irreversibili.

Un fermo immagine sul PSA di GenovaPra’  può solo far supporre cosa ancora potrà accadere per quella fascia di litorale ridotta ormai a una enorme piattaforma di carico-scarico di container provenienti da tutte le parti del mondo.

Questo porto, non voluto certo dagli abitanti del ponente cittadino fu deciso altrove.

Ma le strategie espansive di Singapore e gli accordi stipulati sotto l’egida della “via della seta” potrebbero creare una situazione in cui vantaggi sarebbero tangibili a Oriente mentre in loco rimarrebbero solo le conseguenze negative di uno stravolgimento ambientale dai connotati imprevedibili.