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Sedersi al centro del mondo: Refik Anadol al Guggenheim Bilbao

Bilbao, 8 mar. (askanews) – La sensazione quella di essere in uno spazio che nuovo, ma anche riconoscibile, un luogo che potrebbe essere al centro del nostro mondo, ma aperto a molte e diverse alternative. Un’architettura possibile dentro un’architettura reale, entrambe in costante evoluzione. L’opera “Living Architecture: Gehry” dell’artista digitale Refik Anadol al Guggenheim di Bilbao un’esperienza intensa. Un lavoro proiettato su quattro pareti generato dall’intelligenza artificiale guidata dall’artista, il pi rilevante oggi nell’ambito dell’arte generativa.

“L’opera – ha spiegato Anadol ad askanew – si basa su 35 milioni di informazioni sulla natura e sull’architettura, dati raccolti in maniera etica, e sull’archivio dei disegni e degli schizzi di Frank Gehry su questo e su altri suoi progetti. Quello che abbiamo fatto stato di permettere all’intelligenza artificiale di apprendere in modo etico da questi dati, usando il Cloud, usando energia sostenibile, per permetterle di sognare continuamente dei nuovi mondi. Ho chiamato quest’opera ‘Living Architecture’ e l’idea quello di un futuro dell’architettura nel quale gli edifici possano ricordare e possano sognare”.

Il lavoro di Anadol, che inaugura il progetto “In situ”, che porter diversi artisti a lavorare all’interno del museo basco, avvolgente, a volte spiazzante, ma accoglie e affascina. Lontanissimo dai progetti “immersivi” che capita sempre pi spesso di trovare nelle mostre, perch in realt un ragionamento sul mondo, sul nostro presente, oltre che sulla relazione che possiamo stabilire con l’intelligenza artificiale.

“Ho raccolto direttamente i miei dati – ha aggiunto l’artista – ho utilizzato dei modelli di training sviluppati da me e ho scoperto che era possibile farlo, ma ha richiesto moltissimo lavoro, moltissima ricerca. Da dieci anni lavoro con un team di venti persone a Los Angeles, veniamo da 15 diversi Paesi, parliamo dieci lingue diverse, ma ci che abbiamo scoperto di straordinario che se ti spingi sempre pi avanti con gli strumenti corretti, con i giusti permessi si possono generare questi modelli di intelligenza artificiale per l’arte e la cultura. E la mia speranza di poter davvero creare un impatto positivo”.

L’opera ovviamente pone delle domande su cosa sia l’arte in questo contesto digitale e sono possibili tante risposte diverse. Quello che succede, stando dentro la grande sala al Guggenheim, comprende per anche la possibilit di sentire in modo diverso sia l’architettura straordinaria dell’edificio del museo, sia il senso di alcune delle opere pi importanti che vi sono ospitate. Le proiezioni di Refik Anadol sembrano comprendere e raccontare, per esempio, lo straordinario mare intessuto da El Anatsui al terzo piano, oppure le monumentali installazioni d’acciaio di Richard Serra che sono uno dei cuori pulsanti del museo, o ancora la “Infinity Room” di Yayoi Kusama dove ogni spazio si dilata. E in questo costante dialogo possibile che le distanze si riducano e si possa provare, di nuovo, la diretta – e complessa, certo – vicinanza con l’idea stessa di arte contemporanea. Che, per fortuna, comprende molte forme diverse. (Leonardo Merlini)