Un mondo che cambia, troppo in fretta
Ci troviamo in un momento della storia in cui è diventato impossibile illudersi che le cose andranno a posto da sole. La neutralità, l’indifferenza, l’attesa – sentimenti che ci hanno attraversato – non sono più opzioni. Perché il mondo intorno a noi cambia a una velocità vertiginosa, e spesso non nella direzione giusta.
La fragilità della pace e il peso delle crisi
Guardiamo al quadro globale. Le guerre non sono più un’eccezione, ma una costante. Dall’Ucraina alla Palestina, i conflitti ci ricordano quanto fragile sia la pace e quanto sia pericoloso pensare che la democrazia e i diritti siano acquisiti una volta per tutte.
Le crisi ambientali, che un tempo erano un capitolo dei libri di scienze, ora sono parte della nostra quotidianità: frane, alluvioni, siccità, incendi. E poi la disuguaglianza crescente, la concentrazione della ricchezza, l’indebolimento del lavoro come strumento di dignità e progresso.
L’Europa può (e deve) fare di più
In questo contesto complesso, l’Europa, l’unico faro possibile, potrebbe fare di più e divenire un modello. Tocca a noi. Ripartiamo dai principi fondanti: pace, libertà, diritti, coesione – nulla di scontato, ma riferimenti per altri.
Per troppi cittadini europei, e in particolare per gli italiani, l’Europa appare lontana, tecnocratica, spesso afona di fronte ai drammi reali della vita quotidiana.
L’ascesa delle destre, il disagio delle democrazie
In questo vuoto, avanzano le destre. Non è un fenomeno marginale: è un’ondata che attraversa la Francia, l’Olanda, l’Ungheria, la Germania, forse la Romania, l’Italia stessa.
E non è solo un ritorno a ideologie autoritarie – è la risposta semplificata e identitaria a problemi complessi che la politica democratica ha faticato a risolvere. Si sfruttano le paure, si alimentano rancori, si costruiscono muri culturali e materiali.
L’Italia al bivio
Soffermiamoci al nostro Paese. In Italia il disagio sociale non è più un fenomeno delle periferie estreme. È diventato strutturale.
Siamo un Paese dove lavorare non basta più per vivere con dignità. Dove le donne, lo dimostrano le tante statistiche, fanno figli solo se hanno un lavoro, un nido, un welfare. E poiché spesso non li hanno, non li fanno. La natalità crolla, ma non si affrontano le cause.
E quando si taglia il welfare o si scaricano sui Comuni i costi dei servizi, si colpisce proprio quella domanda di futuro che dovrebbe essere al centro della politica. La povertà è in aumento, e non è solo economica. È anche educativa, sanitaria, culturale.
Abbiamo una sanità pubblica che rischia di non essere più tale, si riduce la prevenzione e curarsi diventa sempre più un privilegio. Abbiamo una scuola che vive di eroismo quotidiano di insegnanti malpagati e lasciati soli. E abbiamo un’università che forma talenti che poi sono costretti a emigrare, portando altrove sapere e creatività.
Tutto questo in un Paese che ha una delle più alte pressioni fiscali d’Europa. Paghiamo tanto, e riceviamo poco. Le famiglie, i giovani, i lavoratori, i pensionati: tutti vedono le promesse disattese.
Quale modello?
E allora nasce una domanda: perché? Perché in altri Paesi il fisco restituisce servizi efficienti, infrastrutture moderne, un welfare che funziona, e da noi no?
La risposta non può essere solo nazionale. È una questione di modello. Serve un cambiamento di paradigma. Serve una spinta politica forte per ripensare l’Europa come uno spazio concreto di cittadinanza e non come libero mercato o un insieme di regole contabili.
Per un’Europa federale
È tempo di diventare cittadini europei. Non solo per difendere i diritti acquisiti, ma per viverli. Noi di Europa Forum ne abbiamo fatto consapevolmente una scelta. Vogliamo un’Europa federale. È nel nostro genoma.
Un’Europa che non sia solo un’unione economica o monetaria, ma una comunità politica vera, con istituzioni democratiche forti, capaci di garantire uguaglianza, giustizia sociale, mobilità, servizi comuni.
Un’Europa in cui il cittadino italiano non si senta un parente povero del cittadino tedesco o olandese. Un’Europa che giochi la sua partita politica. Il federalismo europeo non è un sogno romantico: è una strategia di sopravvivenza democratica in un mondo che si sta polarizzando.
È l’unica risposta alla crisi degli Stati nazionali, che da soli non possono affrontare le sfide globali: né il cambiamento climatico, né la gestione dei flussi migratori, né la transizione energetica, né tantomeno il governo delle grandi piattaforme digitali o delle diseguaglianze economiche.
Una spinta dal basso
Ma questa Europa federale non può nascere solo dall’alto. Non basta aspettare una riforma dei Trattati.
Serve una domanda dal basso, una spinta popolare, una pressione organizzata dei cittadini che rivendichi standard comuni minimi: scuola pubblica gratuita e di qualità, sanità universale, mobilità giovanile, diritti del lavoro armonizzati, giustizia fiscale.
Sogno o progetto?
Sogno o son desto? Se sognare significa rivendicare un’Europa più giusta, più vicina, più democratica, allora sì: sogno. Ma non mi basta sognare. Dobbiamo costruire le condizioni perché questo sogno diventi realtà.
E la prima condizione è la partecipazione. Nessuna Europa sarà davvero federale e sociale se i cittadini non si riappropriano della politica, se non ritrovano fiducia nel cambiamento possibile, se non pretendono che il proprio voto conti davvero.
Per questo, oggi, da questo incontro, dobbiamo rilanciare un messaggio chiaro: il federalismo europeo non è un’utopia. È una necessità, soprattutto per un Paese come il nostro.
E la cittadinanza europea non deve restare sulla carta: deve diventare carne viva, quotidianità, garanzia di diritti e opportunità reali.
Siamo cittadini europei. Pretendiamolo.