L’eredità politica di Bolívar
Simón Bolívar (1783-1830), icona della libertà in Sudamerica, fu plasmato dagli ideali dell’Illuminismo e della Rivoluzione francese. Il suo scopo era l’indipendenza dell’America Latina e la creazione di una Grande Colombia unificata, capace di confrontarsi con le grandi potenze mondiali.
Il suo modello era uno Stato centralizzato e forte e un presidenzialismo robusto, in grado di garantire stabilità. Il suo pensiero era repubblicano, orientato verso l’uguaglianza e la libertà: Bolívar fu sostanzialmente un liberale.
Chávez e Maduro: il tradimento del progetto repubblicano
Hugo Chávez, autore della cosiddetta “Rivoluzione bolivariana”, prese il potere nel 1999 dopo aver vinto le elezioni del 1998. Alla sua morte gli è succeduto Nicolás Maduro nel 2013, che tuttora governa e ha proseguito la stessa linea politica.
Le politiche chaviste hanno trasformato il paese — un tempo definito “la Svizzera del Sudamerica” — in un regime ibrido fra democrazia e autoritarismo, coltivando un forte culto della personalità e accentrando il potere, marginalizzando le istituzioni repubblicane: esattamente ciò che Bolívar voleva arginare.
Corruzione, crisi economica e isolamento internazionale
Il livello di corruzione è aumentato e le dissennate nazionalizzazioni, fondate sull’uso delle abbondanti risorse naturali — specialmente il petrolio — hanno finanziato un’enorme spesa sociale sfociata in una crisi economica e umanitaria senza precedenti. L’inflazione è salita alle stelle e si è verificato un massiccio esodo della popolazione in cerca di maggiore libertà e sicurezza economica.
Il decantato “socialismo del XXI secolo” di Chávez e Maduro è servito più che altro come scudo per politiche populistiche volte a rafforzare l’egemonia del leader, anziché a risolvere i reali problemi del paese. I principi repubblicani sono stati traditi e si è instaurato un autoritarismo populista segnato da continui brogli elettorali. A ciò si aggiunge una forte connotazione anti-statunitense che ha favorito l’influenza della Russia.
Queste politiche hanno isolato il Venezuela dal contesto internazionale, aumentando la distanza anche rispetto ad altri paesi latinoamericani.
La denuncia di Mario Vargas Llosa
Tra i più critici verso il regime vi è stato lo scrittore peruviano Mario Vargas Llosa, premio Nobel per la Letteratura (2010), che a più riprese ha definito il Venezuela “un paese che praticamente va a disintegrarsi, va a disfarsi”. Celebri i suoi interventi contro Maduro nel 2019 e nel 2020, nei quali lo definisce “un dittatore mediocre” e “l’uomo che ha distrutto il Venezuela”.
Un’opposizione debole e divisa
L’opposizione, in tutti questi anni, non è riuscita a coagulare un fronte credibile né a esprimere un pensiero unitario, anche perché il governo può contare sul controllo delle forze armate, sostenuto da strumenti corruttivi difficili da scardinare.
Quest’anno la principale leader dell’opposizione, Corinne Machado, ha vinto il Premio Nobel per la Pace e, forte della sua amicizia con Marco Rubio, segretario di Stato del governo Trump, ha tentato di ottenere dagli Stati Uniti non solo legittimazione, ma anche pressioni su Maduro per costringerlo a lasciare il potere.
Le mosse del presidente Trump, ad oggi, appaiono confuse: accuse al Venezuela di narcotraffico, dispiegamento di mezzi militari nelle zone caraibiche, ma senza che si intraveda una chiara strategia né un obiettivo finale.
Il sogno infranto del Libertador
Resta il fatto che il Venezuela — ricco di risorse naturali, in primis petrolio, ma stremato economicamente e socialmente da più di vent’anni di politiche autoritarie — è ben lontano dal Paese sognato da Simón Bolívar.
Il “Libertador” voleva Repubblica, libertà e progresso: i suoi successori hanno costruito un regime populista che ha svuotato quelle stesse parole del loro significato.

