Staccare la spina al Reddito di cittadinanza? L’Agenda Draghi non piaceva, ma il governo ne gestisce la continuità.

Governo Meloni si candida ad essere il primo a rischiare di perdere il consenso mantenendo le promesse elettorali. Tra migranti, invio di armi all’Ucraina, RDC, e superbonus, l’elettorato comincia a chiedersi se le scelte portate avanti dall’esecutivo siano le più convenienti per la cittadinanza, in questo periodo di grande sofferenza sociale.

Il

Danilo Campanella

Il governo lo aveva annunciato anche prima di insediarsi. Che non amassero il Reddito di cittadinanza (RDC) lo si vedeva subito, e buona parte degli italiani erano contrari a mantenerlo. Ai cittadini sono comprese naturalmente quelle aziende, nelle loro parti datoriali, che avevano fatica a reperire manodopera, agli attuali costi di mercato. Il Reddito di cittadinanza dopo appena quattro anni risultava una misura obsoleta, invisa e inadeguata al periodo di recessione. 

Non pochi servizi giornalistici hanno contribuito a delegittimarlo, mostrando coloro che si sono approfittati di questa misura, come anche l’inadeguato controllo nella gestione dello stesso. Tra il cancellarlo e il riformarlo, però, hanno preferito la seconda opzione. Si chiamerà probabilmente “Mia” e distinguerà i poveri in famiglie: quelle in cui ci sono persone occupabili e quelle in cui sono inoccupabili poiché, ad esempio, disabili. I nuclei familiari la cui situazione economica è al limite della povertà e avranno al loro interno almeno un individuo, un parente, con stipendio o pensione, dovranno trascinarsi anche gli altri?

Comunque, nel ciclo tutto italiano tra illusione e delusione, il vecchio Reddito di cittadinanza verrà riformato, abbassando, di fatto, il bonus erogato (si parla di 375,00 euro) con un Isee non superiore a 7200,00 euro e rendendo più strette le maglie per riceverlo. Il Reddito di cittadinanza aveva almeno altre due funzioni, sottaciute, oltre la più nota evidente motivazione di sostenere i poveri: affrancare i giovani dalla malavita offrendo un’alternativa alle organizzazioni criminali; costringere le parti datoriali ad alzare le retribuzioni. Non c’è stato abbastanza tempo per realizzare il primo e non si è realizzato il secondo punto. Non siamo qui a giudicare una misura che poteva, doveva, essere riformata, senza però usare come parametro di modifica il risparmio. Attualmente, leggendo e ascoltando i Media, il governo in parte smentisce, in parte conferma. Nelle prossime settimane vedremo la direzione in cui andrà il provvedimento di revisione all’ RDC. 

Il Governo Meloni, nonostante il suo impegno nel sorreggere le masse popolari, fa’ i conti con la necessità di restare fedele all’agenda precedente, tracciata dal Governo Draghi: una strada in cui l’esigenza di far quadrare i conti dello Stato rappresenta la bussola principale, nonostante sia ancora viva la questione salariale nazionale. Tanto che, fino a poco tempo fa, si parlava di salario minimo; un’idea forse discutibile, nella sua attuazione, e comunque lasciata nel dimenticatoio. Tuttavia, il caso del Reddito di cittadinanza, erogato dal marzo 2019, ed ora probabilmente riformato ma rendendolo, di fatto, inutile, testimonia ancora una volta un elemento importante, peculiare del nostro Paese: debito e spesa pubblica in Italia non consentono di fare qualunque cosa. Un’evidenza che, spero, verrà tenuta in contro dalla cittadinanza, anche nelle prossime elezioni, quando l’ennesimo imbonitore di piazza strillerà dal suo megafono la promessa elettorale del momento. Visti i pregressi, non sognate. Anche per questo, pare, servono i soldi.