Siamo davvero alla vigilia di un altro boom economico pari a quelli degli anni sessanta, come sostiene il Ministro Luigi Di Maio?
Qui siamo proprio nel campo della pura fantasia e, purtroppo, spiace dichiararlo, di una palese incompetenza sul versante degli studi economici. Di Maio, sfiora persino il ridicolo sostenendo quella tesi. Immagino che uno studente di economia al primo anno di università, lo potrebbe persino prendere in giro.
In cosa difetta il Ministro: nel non sapere alcuni fondamentali dell’economia. Un paese può crescere in modo vigoroso, intenso a patto che presenti alcuni parametri che consentirebbero la crescita indicata. Quali sono questi parametri? Indubbiamente, il grado di ricchezza complessiva del Paese in esame. In altri termini: quanto più un Paese è ricco tanto meno può crescere. L’Italia degli anni cinquanta e sessanta, era una realtà economica fortemente penalizzata, come del resto gran parte della Europa dal precedente conflitto mondiale e la sua struttura economica era ancora largamente caratterizzata dall’essere, almeno in alcune sue larghe parti, da uno sviluppo squisitamente agricolo. Questo aspetto permetteva, in ragione di una evidente debolezza economica, una possibilità di sviluppo enorme; quello che in effetti è capitato.
Tanto per rammentare, la crescita del Pil degli anni del cosiddetto boom economico, non saliva sopra il 3%, tanto per capirci.
La condizione attuale vede il nostro Paese, ancorché in difficoltà da dieci anni, completamente diverso da quello di cinquanta sessanta anni fa. La ricchezza media non è nemmeno confrontabile tanto è superiore quella attuale, rispetto a quegli anni. Quindi, un parametro fondamentale quale quella della ricchezza di un paese, non potrebbe mai, nello stato attuale delle cose, permettere all’Italia di raggiungere il boom economico di allora.
Serietà vuole, oso dire, serietà scientifica vuole, che da una crescita dell’1% nelle condizioni date, sarebbe già un ottimo risultato.
Che un vice primo Ministro della Repubblica italiana vada dicendo quel che ha detto, è sinonimo di un profondo malessere della classe politica attuale. Cadere nel ridicolo non fa bene ad alcuno e non fa bene nemmeno ai nostri connazionali sapere che un rappresentante del Governo cada in una condizione espressiva così pietosa.