Si moltiplicano in questi ultimi giorni richiami al popolarismo, ma molta sembra la confusione e spesso sollevata ad arte.
Un punto chiave, per onestà intellettuale, va tuttavia messo subito in chiaro: mai nella storia del popolarismo il partito si è trovato in alleanza “organica” con la destra.
Il partito popolare è stato sciolto dal regime fascista dopo pochi anni di vita e i suoi fondatori protagonisti sono stati incarcerati, perseguitati, costretti all’esilio o costretti a ritirarsi a vita privata. Molti dei naturali eredi del P.P.I. sturziano furono protagonisti della lotta di liberazione e della successiva fase di ricostruzione materiale, morale, civile e politica della nazione. Alcide De Gasperi (salto qualche passaggio per brevità) pur avendo i numeri per governare da solo, promosse sempre governi di coalizione e coniò la definizione di “partito di centro che guarda a sinistra”. Aldo Moro preparò e realizzò nel ‘63/64, con lucidissima visione politica e proverbiale pazienza, il cosiddetto “primo centrosinistra”. I socialisti entrarono al governo, il socialdemocratico Giuseppe Saragat venne eletto alla Presidenza della Repubblica.
Durante gli anni ‘60/70 si succedettero numerosi governi di centrosinistra sempre con i popolari (diventati D.C.) come protagonisti. Anche in sede locale nacque il centrosinistra con Bruno Kessler come protagonista, affiancato da personalità sanguigne come Enrico Bolognani e altri. Sia a livello nazionale che a livello locale furono stagioni di straordinarie riforme; scrisse Pier Paolo Pasolini che quello di centrosinistra era l’unico riformismo possibile in Italia.
Tutto questo avveniva mentre il mondo era diviso in blocchi secondo gli accordi del “Trattato di Yalta”. La Germania era divisa e i sovietici occupavano Berlino. Tutta la Berlino storica era in mano ai russi, che erano insediati stabilmente nel cuore dell’Europa. La cosiddetta alternativa di sistema era ancora una prospettiva possibile.
I governi di centrosinistra nacquero e si svilupparono sempre in chiave anticomunista con il P.C.I. all’opposizione. Nei primi anni ’70 sempre Aldo Moro varò la cosiddetta “strategia dell’attenzione a sinistra” con lo scopo di un progressivo “allargamento della base democratica”, per dare fondamenta più solide alla nostra “fragile democrazia”. Il tentativo di coinvolgere nel governo nazionale quello che allora era il più grande partito comunista occidentale si interruppe drammaticamente con il rapimento e l’uccisione di Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse (marzo/maggio ’78).
Il decennio successivo si trascinò stancamente secondo la formula del “pentapartito”, cioè un’alleanza fra popolari/D.C., socialisti, socialdemocratici, repubblicani e liberali, sempre in funzione anticomunista e sempre con il P.C.I. escluso dal governo.
Nel 1989 cadde il Muro di Berlino, crollò l’ “Impero Sovietico” formato dalla Russia e dai Paesi del Patto di Varsavia. Cessò quindi la possibilità concreta di un’alternativa di sistema.
Arriviamo quindi al punto decisivo e ancora oggi dirimente rispetto alla “questione popolare”. In un panorama politico dove non è più plausibile il “pericolo comunista”, quale deve essere la collocazione delle forze che si richiamano alla tradizione del popolarismo?
I popolari non sono mai stati conservatori e non andranno a cercare casa, in futuro, nel blocco neo-conservatore. Provare a trascinare in modo forzoso la tradizione popolare in una improbabile alleanza con populisti, nazionalisti e financo suprematisti mi sembra una forzatura e una mistificazione intellettualmente poco onesta.
Continuo a non vedere e a non capire che cosa c’entrino i popolari e la loro gloriosa tradizione con Salvini, Meloni, Marine Le Pen, Orban, Alternativ Für
Ancora una volta il tentativo di spostare su posizioni di destra, o se preferite neo-conservatrici, la tradizione popolare, suona come un grande imbroglio nei confronti del nostro elettorato e di tutti gli italiani, e come un tradimento di concetti fondamentali come il rispetto della persona umana, la dottrina sociale della Chiesa, l’economia sociale di mercato e la difesa dei settori più deboli della popolazione (tutti concetti espressamente citati nel documento fondativo del 1919, ma ancora attualissimi nel 2019).
Lasciano veramente stupefatti gli appelli al popolarismo di chi per anni ha governato con la destra di chi oggi governa con la Lega, che altro non è che la destra con un nome differente.
L’ultima annotazione, naturalmente non in ordine di importanza, riguarda l’Unione Europea. Europeista fin dalla sua nascita, la Società delle Nazioni è un altro punto citato nel documento fondativo. Il partito popolare trova nella figura di De Gasperi l’incarnazione dello spirito europeo e il più alto riferimento al superamento dei nazionalismi che sono stati la grande tragedia novecentesca.
Concludo ricordando l’invocazione rivolta a Silvio Berlusconi, che corteggiava i popolari, da parte professor Beniamino Andreatta: “Si sganci da Alleanza Nazionale e potremo cominciare un minimo di ragionamento”. Quell’invocazione è ancora valida: si sgancino da leghisti, sovranisti, nazionalisti e suprematisti e potremo cominciare un minimo di ragionamento.
Alessio Rauzi
Dirigente dell’Unione per il Trentino, già Margherita Trentina.