Sulla giornata della Memoria

In questa giornata ricordiamo la catastrofe, per usare un’espressione di un pressoché ignoto e grandissimo filosofo italiano, una delle tragedie più eclatanti, più clamorosamente enormi e tremendamente emblematiche di quella capacità dell’uomo di volgersi al male come profetizzato da Sofocle nel coro dell’Antigone (“molte potenze sono tremende ma nessuna lo è più dell’uomo”). Un male assoluto, radicale ma spesso, paradossalmente, definito come banale (secondo la fortunata formula di Hannah Arendt, che quell’ignoto filosofo italiano, Giuseppe Capograssi, aveva già utilizzato diversi anni prima) per far emergere le responsabilità di tanti individui anonimi statistici comuni nella organizzazione e nella esecuzione del male.

Da questa constatazione si apre la riflessione sulle grandi implicazioni filosofiche, morali, giuridiche e politiche della catastrofe, a partire da quella riguardante l’obbligazione giuridica e politica o del rapporto dell’individuo con la legge e col potere. Devo sempre rispettare la legge o il comando? Devo sempre dire di sì? Anche se mi si chiede di compiere atti contrari alla mia coscienza (o, peggio, crimini contro l’umanità)? Sofocle e Socrate hanno offerto la prima tematizzazione sul piano letterario e filosofico di questa radicale questione.

Il processo di Norimberga si è posto il problema sul piano squisitamente giuridico.
La Costituzione (così come elaborata dal costituzionalismo del secondo novecento) è la risposta più completa più sofisticata (Benigni direbbe più bella) a quell’interrogativo perché la Costituzione non è solo una dichiarazione di principi (antitotalitari e antifascisti) ma rappresenta soprattutto la positivizzazione di una normatività di grado superiore (assiologicamente superiore) che si pone come vero argine, come limite assoluto, invalicabile, all’uso abusivo e disumano del potere politico che, in quanto potere che un uomo esercita su un altro uomo, si impone da sempre come una delle questioni più complesse (e irrisolte) nella storia del pensiero occidentale.

C’è un’altra espressione della Arendt, che in un certo senso rappresenta un filo conduttore del suo pensiero, che ci può aiutare nella riflessione sulla Memoria: evitiamo che l’uomo diventi un essere superfluo.
Alla base dei totalitarismi del secolo passato (e di quelli che potrebbero ripresentarsi magari col volto accattivante della tecnologia), alle radici teoretiche della catastrofe, c’è la considerazione che l’individuo (senza individualità direbbe quell’ignoto e geniale filosofo) sia mera passività, sia un essere plasmabile, oggi anche riproducibile, programmabile sostituibile, nella prospettiva postumanistica, con un automa, un avatar, un cyborg, un robot; un essere da emarginare e da eliminare se non funzionale allo scopo determinato da chi si è impossessato del potere; un individuo secondario da relegare in una condizione di (sub)umanità, un essere appunto superfluo.

E come corollario l’idea che ci siano individui di serie A e di serie B o C e che i diritti umani (espressione tra le più abusate retoricamente) valgano solo se riferiti a certi uomini (che anzi ne rivendicano egoisticamente sempre più) e non valgano per altri, per chi, per esempio, bussa alle nostre porte o per chi ogni giorno, quasi banalmente, muore nel Mediterraneo.
Perdere di vista ciò che “di umano c’è nell’uomo”, è questa la radice del male. E il significato profondo di questa giornata deve essere questo: difendere tutti, a partire dalla quotidianità più apparentemente comune, l’umanità, difendere ciò che di umano c’è nell’uomo, evitare che l’uomo diventi superfluo.

Non è un caso che nella costruzione dell’uomo nuovo, del superuomo annunciato da Zarathustra, al di là del bene e del male, Nietzsche (un filosofo caro a Mussolini e a Hitler, che lo leggono spregiudicatamente) demolisce, per demolire la morale tradizionale, il ruolo della memoria, considerata una malattia mortale, imputata per il suo ancorare ai doveri della vita morale.
Tutto ciò naturalmente a partire dall’annuncio della morte di Dio.
Ma, come aveva intuito Dostoevskij, con la sua magistrale profondità e capacità di indagare l’animo umano, se Dio non esiste, tutto è permesso …