Il recente seminario sul “dopo Trieste”, nel quale si è cominciato a dare un seguito agli spunti di riflessione intorno al tema, oggi, più che mai avvertito, di un fattivo impegno dei Cristiani, in politica, ha scatenato tutta una miriade di reazioni e commenti di diverso segno.
Fino agli attacchi diretti ad uno dei relatori del Seminario, Ernesto Maria Ruffini, dimessosi da direttore dell’Agenzia delle Entrate, per “incompatibilità” con la sequela di affermazioni, che si sono succedute, in questi due anni: dal pizzo di stato, a proposito della tassazione su autonomi e professionisti, ad altre espressioni da parte di esponenti di questa maggioranza, inammissibili in un paese civile e democratico.
C’era di certo da aspettarselo che il fronte dei detrattori sarebbe ricorso agli argomenti più felini per attaccare quello che comincia a sembrare un credibile processo di aggregazione dell’area cattolica e riformista nel tentativo di cominciare a dare al paese una prospettiva di speranza e di promozione politica nell’ottica di un diverso e proficuo rapporto tra Stato e cittadini.
In quel seminario non sono mai stati marginali termini come, libertà, uguaglianza, solidarietà, bene comune, Costituzione. Già don Luigi Sturzo nel 1919 faceva di queste categorie il nucleo fondante di uno Stato al servizio dei suoi cittadini ed attento al benessere di ciascuna persona. Ma c’era già il cono d’ombra di un fascismo alle porte.
Chiusa la parentesi del ventennio con tutto lo strascico devastante e brutale di una guerra, divenuta poi, in ampie parti del nostro territorio, fratricida, quei valori e quei principi furono la linfa vitale della nostra Carta costituzionale.
Oggi però non basta più limitarsi ad elencare queste categorie concettuali, per rendere chiaro un messaggio alle tante coscienze di questo paese che, disgustati da questo sistema politico, si tengono alla larga dalle urne.
Sa va bene esigere che un tale nuovo progetto politico si fondi su valori chiari: il rispetto della persona, la responsabilità individuale, la solidarietà sociale, nonché una visione del futuro che punti soprattutto al bene comune, si rischia però di non cogliere il segno, se non si cominci, anche attraverso una sorta di immedesimazione, ad entrare nella realtà concreta del cittadino.
Non può infatti ignorarsi quanto sia oggi sempre più difficile cogliere le differenze di un linguaggio e di una propaganda politica fondata su valori e categorie identitarie, spesso ambivalenti, non facilmente comprensibili nella concreta accezione e soprattutto nella pregnanze delle concrete sfumature che assumono nella prassi politica.
Intanto questi concetti non sono, da ora, la bussola di nuove forze: già i cosiddetti “centristi” che gravitano nello schieramento della maggioranza, ne fanno naturale riferimento nei loro manifesti politici.
Ma c’è di più. Non mancano infatti abili sconfinamenti da parte delle forze populiste che manipolano e si intestano artificiose difese d’ufficio sostenendo di perseguire meglio questi valori nell’interesse del “popolo”.
Ora pensiamo ad un cittadino medio, frastornato da una realtà socio economica e alle prese, magari, con una diffusa precarizzazione del lavoro, e sempre più sospinto da una demagogia populista, che con le ciniche politiche migratorie e sovraniste, ha messo l’uno contro l’altro, così da diffidare di tutto ciò che sta attorno a lui.
Davvero riteniamo che egli, nei meandri di un lessico dove tutti ci mettono le mani, possa facilmente cogliere i tratti di una politica che può per lui rappresentare una credibile svolta rispetto al proprio progetto di vita e al futuro della propria famiglia e, se guarda con una certa dose di lungimiranza, del proprio paese
È talmente sotto gli occhi di tutti che non mi pare sia necessario ricorrere a tanti argomenti per rimarcare quanto oggi sia fortemente indebolito il senso civico e soprattutto il sentimento di partecipazione.
Di certo una qualche ragione non è difficile scorgerla nella ripulsa verso una classe politica che ha agito in questi trent’anni per espropriare la sovranità dalle mani di un elettorato ridotto a ratificare, se va a votare, scelte già fatte anticipatamente dai capi partito o, quando c’è all’interno un qualche clima più democratico, dalle segreterie dei partiti.
Forse, non sarebbe ultroneo cominciare ad entrare nei dettagli di un diverso rapporto Stato-Società, conforme a Costituzione, con politiche che valorizzano nel modo migliore possibile le diverse articolazioni tra Stato e Istituzioni locali, nel segno di una più armoniosa e bilanciata applicazione del principio di sussidiarietà, in un quadro di cooperazione solidale e di coesione istituzionale, capaci di assicurare un diverso ruolo dell’Italia e un futuro di benessere per ciascuna persona.
Il problema è che ci vuole la volontà per fare questo: ovviamente alludo alle diverse articolazioni cattoliche e a tutte quelle forze riformiste che perseguono lo stesso obiettivo. Ci sarà?