Si è appena conclusa la Settimana parlamentare europea, organizzata dal Parlamento europeo e da quello polacco: due giorni di dibattiti sulla governance economica europea. Quando nella discussione sulla competitività è intervenuto Mario Draghi si è verificato un crescente stupore nell’Emiciclo. In molti stentavano a credere che a parlare fosse lo stesso Mario Draghi già Governatore della Banca d’Italia, già Presidente della Banca Centrale Europea e poi Presidente del Consiglio dei Ministri. Con toni duri, ha precisato: “Il mio rapporto è stato pubblicato a settembre e l’ultima volta che mi sono rivolto al Parlamento europeo ne ho delineato le linee principali. Oggi, cinque mesi dopo, cosa facciamo? Abbiamo discusso. Cosa ricaviamo da questa discussione? Che ciò che è nel rapporto è ancora più urgente di quanto non fosse cinque mesi fa. Spero che la prossima volta, se mi inviterete, potremo discutere di ciò che è stato fatto in modo efficace. Il senso di urgenza di intraprendere il cambiamento radicale che il rapporto sosteneva è ancora più forte”. Come se fosse del tutto ignaro della difficile complessità del processo decisionale europeo.
Il dubbio della platea è stato momentaneamente sospeso quando l’ex capo della BCE si è dato ragione da solo sostenendo che “da quando è stato pubblicato il rapporto, i cambiamenti che hanno avuto luogo sono ampiamente in linea con le tendenze che vi erano state delineate”, facendo riferimento a quanto scritto da lui su velocità delle innovazioni dell’intelligenza artificiale e aumento dei prezzi del gas. Passata la fase “io ve l’avevo detto”, gli occhi dei presenti sono tornati a sgranarsi quando l’ex Premier ha ricordato che “per affrontare le sfide, è sempre più chiaro che dobbiamo agire sempre di più come se fossimo uno Stato”, e farlo presto perché’ “il tempo non è dalla nostra parte”. Ricordando che “negli ultimi 15, 20 anni, il governo degli Stati Uniti ha iniettato nell’economia 14 e più trilioni di dollari, noi ne abbiamo fatti sette volte meno”, ha ricordato un’ovvietà. Tutto giusto, se non fosse che ad oggi l’Unione non è uno Stato federale come gli Usa.
L’intervento è suonato come un attacco ai leader Ue, sospesi fra immobilismo e incertezza. Intendiamoci, Draghi ha ragione quando sostiene che “le esigenze di finanziamento sono enormi: 750-800 miliardi di euro” e neppure noi siamo del tutto convinti dalle proposte di von der Leyen. Ma dovrebbe anche ricordare quanto è stato difficile per lui come capo della BCE convincere i Paesi frugali alla politica espansiva di acquisto di titoli di Stato, per iniettare liquidità e abbassare i tassi, un’azione fondamentale per salvare Euro ed economia, ma che era una toppa all’emergenza e non la panacea di tutti i mali.
Ha, infine, umilmente ammesso di non avere soluzioni: “Quando mi chiedete cosa è meglio, cosa è meglio fare ora, rispondo: non ne ho idea, ma fate qualcosa!”. E qui, il mito di SuperMario è un po’ crollato. In realtà, da anni molti sono consapevoli che sia necessario “cambiare il nostro modello decisionale”, abbandonare l’unanimità e “passare a una maggioranza qualificata in molte, molte aree”. Ovviamente Draghi non se l’è sentita di spiegare quali aree, ma in generale: serve l’unanimità per eliminare la clausola dell’unanimità. Distorsioni folli da euroburocrati, ma che lui conosce bene. Ha provato a suggerire di utilizzare il modello “intergovernativo, vale a dire due, tre, quattro governi concordano su certi obiettivi e decidono che si muoveranno insieme, rimanendo aperti all’ingresso di altri Paesi”: un precedente pericolosissimo e l’inizio della fine per l’Ue a 27.
“Veniamo da un passato così lungo di inconcludenza ed esitazione che troviamo difficile avere fiducia che le cose possano cambiare in futuro e che impariamo effettivamente a essere diversi, a prendere decisioni rapidamente ed efficacemente”. Questo l’apice del crescendo draghiano e a queste parole le mascelle degli ascoltatori sono crollate per la sorpresa. Intendiamoci, Draghi ha ragione. Ma se a settembre aveva disegnato il mondo perfetto, ora assomiglia a un alieno atterrato ieri a Bruxelles. Di quel “passato di inconcludenza ed esitazione” ne è stato protagonista, in vari ruoli di grande potere. L’incapacità di prendere decisioni rapidamente l’ha vissuta più volte in Consiglio europeo. Insomma, è sembrato paradossale. Come se tutto avesse funzionato perfettamente fino a luglio 2022 (e specialmente dal febbraio 2021) mentre oggi siamo rassegnati a un futuro di dannazione. Servirebbe uno sforzo di memoria e se proprio non si riesce a ricordare la lezione morotea per cui “è meglio sbagliare insieme che avere ragione da soli”, può sempre valere quella di Fabrizio de Andre’: “Si sa che la gente dà buoni consigli/ Sentendosi come Gesù nel tempio/ Si sa che la gente dà buoni consigli/ Se non può più dare cattivo esempio”