
Roma, 24 nov. (askanews) – Al Museo Nazionale degli Strumenti Musicali di Roma, prosegue Migrazioni Sonore – Il messaggio universale della musica e le nuove cittadinanze, progetto del Festival Popolare Italiano dedicato alla musica come linguaggio universale e ponte tra culture, ideato e diretto da Stefano Saletti. Il costo del biglietto, 6 euro, comprende anche la visita al museo (ultimo ingresso ore 18.30).
Dopo il tutto esaurito di Moni Ovadia, Giovanni Seneca e Anissa Gouizi in Rotte mediterranee, il viaggio continua giovedì 27 novembre alle ore 20.30 con La Vuelta dei SuRealistas, il suono del Sur tra Argentina e Toscana, un’esplosione di ritmi sudamericani e mediterranei in cui la band argentina-toscana fonde cumbia, son, rock e poesia in un inno alla vita e alla diversità.
I SuRealistas sono una vera band composta da Jeremías Cornejo voce, chitarra e ukulele, Joaquín Cornejo voce e tastiera, Iacopo Schiavo voce e chitarra elettrica, Mauro La Mancusa tromba e percussioni, Sigi Beare sax tenore e percussioni, Matteo Bonti al basso, Pietro Borsò alla batteria e Laura Falanga alle percussioni. Nessun leader: il loro simbolo non è una piramide ma un cerchio, capace di racchiudere più idee, più voci e più colori.
Nelle loro vene scorrono Argentina e Sicilia, Pisa e Livorno… e persino un pizzico di Bosnia. I loro cuori pulsano al ritmo delle clavi afroamericane, tra cumbia e son, MPB e bossanova miscelati sapientemente con rock e psichedelia, cantautorato e letteratura… «La vita è l’arte dell’incontro», diceva Vinícius de Morães: e dall’incontro tra tanti sogni è nato il sogno dei SuRealistas, popolato di canzoni originali e al tempo stesso radicate nella tradizione sudamericana. Dopo svariati tour europei, 4 album di inediti, le priorità dei SuRealistas sono chiare: tenere gli occhi sempre aperti sul mondo e i piedi sempre pronti a danzare. Questa è la chiave del loro realismo, magico e surreale, ove «Sur» non significa solo Sudamerica ma anche sud del mondo e periferia, minoranza e diversità, una natura sull’orlo del collasso e un mondo che non sa bene dove va. Il loro concerto è un inno alla vita, al canto e alla danza.
IL FESTIVAL POPOLARE ITALIANO. Ideato e diretto da Stefano Saletti (polistrumentista e compositore, alla guida della Banda Ikona e di diversi ensemble internazionali di world music), il festival è nato nel centro di accoglienza Baobab a Roma nel 2015, alla sua chiusura si è trasferito al Teatro Villa Pamphilj dove si è svolto per cinque edizioni, poi nello storico Teatro Verde e dal 2023 al Museo Nazionale degli Strumenti Musicali. Il Festival Popolare italiano appartiene alla Rete Italiana della World Music, un’associazione che riunisce operatori, musicisti e oltre 25 festival di tutte le regioni d’Italia. Missione della Rete è supportare il mondo della world music italiana e contribuire alla diffusione di un modello di sviluppo sostenibile e inclusivo per il nostro Paese in cui la musica è strumento di costruzione della propria identità culturale, ma anche di conoscenza e di contaminazione con le altre culture del Mediterraneo, e quindi fonte di innovazione.
Questi i prossimi concerti: giovedì 4 dicembre il Pejman Tadayon Ensemble La musica e la poetica dei mistici Sufi: da Rumi a Omar Khayyam; sabato 6 dicembre Nubras; giovedì 11 dicembre Ziad Trabelsi & Gabriele Coen: Dialoghi di pace; sabato 13 dicembre Maluf System: Eddiwen, Canzoniere tunisino; giovedì 18 dicembre, l’Orchestra Multietnica di Arezzo diretta da Enrico Fink; sabato 20 dicembre Stefano Saletti & Banda Ikona con il Baobab Ensemble in Sacro Mediterraneo. Ogni prossimo concerto sarà preceduto, alle ore 19.30, dalle Conversazioni in musica dialoghi tra artisti, giornalisti e comunità provenienti da diverse aree del mondo curati dalla rivista specializzata BlogFoolk.
Il progetto Migrazioni Sonore, promosso da Roma Capitale, è vincitore dell’Avviso Pubblico per la realizzazione di iniziative di interesse per l’Amministrazione Capitolina in occasione del Giubileo 2025 in collaborazione con Zètema Progetto Cultura. Media partnership: Rai Radio Techete’.

