Intervista a cura di Antonio Gaspari appaarsa sulle pagine di orbisphera

Mi è capitato di leggere il libro “Dio e l’ipercubo. Itinerario matematico nel cristianesimo” (Editrice Effatà), scritto da Francesco Malaspina, professore al Dipartimento di Scienze Matematiche del Politecnico di Torino. 

Devo confessare di aver scoperto un libro strepitoso. Illuminante nelle ipotesi e nella trattazione, saggio nelle considerazioni.
Mai avrei immaginato di poter comprendere certi assiomi matematici e geometrici leggendoli con gli occhi della fede. E mai avrei immaginato di poter comprendere più a fondo certe verità di fede come l’incarnazione, la resurrezione, la carità, l’amore di Gesù, leggendo un libro con tante formule matematiche.
Non sono riuscito a seguire nei dettagli la parte di matematica e geometria, ma quello che ho letto e compreso mi ha entusiasmato.
Per esempio la spiegazione dell’incarnazione, dove Dio infinito si fa finito, e della Resurrezione, dove il figlio di Dio torna ad essere infinito.
E poi il perdono infinito di Dio che accoglie e si avvicina alla nostra piccolezza.
Per meglio comprendere la bellezza di questo libro così prezioso ho intervistato l’autore.
“Dio e l’ipercubo. Itinerario matematico nel cristianesimo”. Un’indagine e un titolo molto impegnativi. Può spiegare in breve di cosa si tratta?
Vuole essere un tentativo di divulgare qualcosa del pensiero cristiano attraverso la matematica e viceversa. Non si vuole dimostrare nulla sulla ragionevolezza del cristianesimo ma si considera la matematica come una forma d’arte in grado di spiegare e raccontare attraverso analogie.
Il libro si dipana su tre capitoli in ognuno dei quali viene descritta una teoria matematica. Attraverso il dualismo globale-locale vengono parallelamente illustrati alcuni concetti fondamentali del cristianesimo. Trasversalmente in ogni capitolo compare una virtù teologale: nel primo la fede, nel secondo la speranza e nel terzo la carità.
Come si fa a spiegare i passaggi centrali del Vangelo con ipotesi matematiche e geometriche? O meglio, come e dove i numeri, gli insiemi, le equazioni e le figure geometriche s’incontrano con la vicenda di Gesù Cristo?
Gli oggetti matematici non solo hanno a che fare con l’arte ma sono loro stessi opere d’arte e hanno un fortissimo valore evocativo. Si possono dunque adoperare per richiamare concetti teologici e spirituali.
Guardandoli con occhi contemplativi, provo, in modo soggettivo, a tracciare un quadro del cristianesimo.
Sulla mia tavolozza ci sono insiemi, relazioni di equipotenza, spazi metrici, funzioni continue e varietà topologiche, e la tela è il mondo astratto delle idee e dei collegamenti tra di esse. Il bianco, il nero, il blu, il giallo e il rosso sono semplicemente colori ma possono essere distribuiti su una tela per rappresentare un determinato concetto. I suoni sono neutri di per sé ma possono essere organizzati in accordi e in forme per raccontare qualcosa.
Le nozioni matematiche che uso sono state introdotte per rispondere a problemi di tipo scientifico, ma qui vengono adoperate per parlare d’altro semplicemente perché la loro struttura suggeriva analogie.
Già nel primo capitolo lei ipotizza Dio infinito che con l’incarnazione si fa finito. Poi con la Resurrezione il figlio di Dio torna ad essere infinito. In questo contesto può spiegarci come la storia del figlio di Dio si interseca con quella dell’umanità? E in che modo l’uomo può aspirare all’infinito-eternità?
Nella teoria degli insiemi si ha un’infinità di insiemi infiniti e si riesce a dire in modo rigoroso che, se prendiamo due sottoinsiemi finiti dell’insieme dei numeri naturali, anche se uno è molto più grande dell’altro la loro distanza dall’infinito è la stessa. I loro complementari infatti possono essere messi in corrispondenza biunivoca e sono entrambi infiniti dello stesso tipo.
Il nostro struggente bisogno di infinito è disperatamente frustrato: non soltanto non possiamo raggiungerlo ma neppure avvicinarci. Ecco che questo mi dà il pretesto per parlare di Incarnazione: di questo infinito che si posa nel finito colmando questo abisso che non poteva essere attraversato nel senso opposto.
In questo contesto la fede è proprio l’accogliere questo infinito che ci viene incontro gratuitamente facendoci gustare già qui un po’ di infinito.
In quale spazio matematico e geometrico lei colloca l’amore di Dio, la povertà, il perdono?
Il perdono può essere visto proprio in questo viaggio dall’infinito al finito. Dio potrebbe percorrere questo abisso da noi impraticabile, ma poi fermarsi a qualche passo da noi chiedendoci quel piccolo sforzo che saremmo in grado di fare. Invece non è così: Dio sceglie di arrivare fino alla nostra piccolezza (pensiamo alla vocazione di Matteo al banco delle imposte). In questo sguardo di Gesù che chiama c’è un perdono infinito, e se scegliamo di seguirlo siamo chiamati a perdonare senza misura a nostra volta.
Inoltre l’infinito non si limita a raggiungere la nostra piccolezza ma svuota completamente se stesso fino all’insieme vuoto, fino a lasciarsi inchiodare su una croce. Ecco che anche noi siamo chiamati a svuotarci, a vivere la povertà e a donarci radicalmente.
Infine l’amore trinitario è qualcosa che la nostra mente non può contenere (come spiega Sant’Agostino), ma che possiamo provare a cogliere solo localmente nei gesti concreti di carità verso il prossimo e nel servizio. L’oggetto matematico che uso è quello di varietà topologica. Non riesco a spiegarlo in due parole; per darne un’intuizione possiamo pensare che noi ci troviamo sulla terra (quasi sferica) ma localmente, se guardiamo nel raggio di pochi chilometri, abbiamo la percezione di essere su un piano. È quello che fanno le cartine geografiche: rappresentano in modo piano una piccola regione sferica.
Alla fine della lettura del suo libro, mi sono convinto che i linguaggi matematici e geometrici non sono affatto limitati e riduzionisti; al contrario possono dare solidi argomenti all’immaginazione e alla fede. È così?
Certamente, possono aiutare nell’immaginazione e nella contemplazione. Non potrà, però, mai esistere una dimostrazione matematica della resurrezione di Cristo. Ed è bello che sia così, altrimenti non saremmo realmente liberi di credere o meno.
Ci piace un Dio che non usa argomenti inattaccabili e stringenti per convincerci, ma che rispetta profondamente la nostra libertà. La matematica non serve a dimostrarci qualcosa su Dio, ma alcune sue nozioni ci sanno parlare di Lui.