Le parole di Franceschini a “Che tempo che fa”, il programma di Rai 3 condotto da Fabio Fazio, hanno messo sul piede di guerra i difensori ad oltranza del “sistema  cultura”. In parte era prevedibile. La pandemia, invece di favorire una spinta alla solidarietà nazionale. genere la moltiplicazione di pregiudizi e dissidi.

Cosa ha detto di tanto grave Il ministro? Nulla, vale a dire nulla di veramente grave. Ha solo annunciato che il governo si accinge a decretare, alla luce della impennata dei contagi, la chiusura dei musei, oltre a quella già operante per cinema e teatri. Roberto Saviano, prima di questo annuncio presuntivamente offensivo, aveva manifestato una rabbiosa insofferenza per la scelta di Franceschini. In una lunga intervista a Marco Damilano, sul numero da ieri in edicola de “L’Espresso”, lo scrittore simbolo della lotta alla criminalità organizzata ha preso lo spunto dal provvedimento della settimana scorsa per mettere sotto accusa, oltre al ministro della cultura, l’intero governo.

Questa polemica ha l’amaro sapore dell’esasperazione. Sembra che la lotta consista nel frenare la volontà di sequestro a tempo indeterminato del bene pubblico della cultura, quando il problema semmai riguarda la sospensione temporanea di attività che, in ambienti chiusi e con inevitabili affollamenti, sono veicolo di diffusione del virus. Non si comprende, perciò, quale sia il senso di tale protesta acuminata e finanche violenta.

Stiamo combattendo una guerra contro un nemico invisibile, capace di infettare e mietere vittime ogni giorno, secondo una dinamica che rischia di andare fuori controllo. Quel che avviene in Italia, con i numeri in crescita della pandemia, sta avvenendo in Europa e in altre parti del mondo, anche in misura decisamente più accentuata. Ovunque si agisce con la preoccupazione di tutelare la salute delle persone, cercando in pari tempo di garantire un livello essenziale di tenuta dell’economia. Insomma, specie in Europa, più o meno si presenta omogeneo il quadro operativo anti covid-19 che le autorità di governo si vedono costrette ad adottare.

Pertanto tra Saviano e Franceschini, a dirlo con molta franchezza, stiamo dalla parte di Franceschini. Non si ha ragione con l’insulto e la rabbia. Un conto è la critica, dura fin che di vuole, altro il gioco di specchi tra indignazione e irrazionalità. Chi pretende, giustamente, di salvaguardare la cultura ha pure il dovere di usare strumenti che non deraglino nella protervia del sensazionalismo accusatorio. Alzare il tono delle recriminazioni, senza per altro accennare a possibili alternative di condotta in questa difficile gestione della crisi sanitaria, non fa che minare la già debilitata coscienza civile. E non è un modo, questo, di “fare cultura” nel senso più ampio e completo che l’impegnativa affermazione richiede.