Tra nostalgia dc e nuove alleanze: il percorso europeo di Raffaele Fitto.

Riuscirà a passerare l’esame del Parlamento di Strasburgo? Da settimane, va alla ricerca della maggioranza di due terzi della sua Commissione di riferimento richiesta per essere promosso, impresa complessa vista la frammentazione dell’attuale Eurocamera.

Momento di audizioni in Parlamento europeo: dopo il voto di luglio ha confermato Ursula von der Leyen come Presidente della Commissione europea, ora è il turno dei Commissari, indicati dai governi nazionali, a dover chiedere la fiducia dell’Eurocamera. Nel dettaglio: ogni Vicepresidente/Commissario ha una delega, esplicitata nella lettera di missione scritta da Ursula che sancisce obiettivi, competenze e limiti gestionali. Sulla base della lettera, il Parlamento europeo prepara le audizioni del candidato Commissario con le Commissioni parlamentari competenti. Per capirci: Raffaele Fitto dovra’ sostenere la propria audizione in Commissione Affari regionali, con le Commissioni Affari economici, Trasporti, Bilancio, Agricoltura, Pesca, Occupazione e affari sociali chiamate a dare un parere non vincolante. Teoricamente dovrebbe occuparsi anche di riforme, ma la Commissione Affari costituzionali, titolata a legiferare sulle modifiche ai trattati, non è coinvolta. Quindi, diciamo, come scrive Ursula, Fitto si occuperà di quelle riforme di cui l’Ue ha urgente bisogno, ma non troppo. 

Mentre il mondo vive sull’orlo di un conflitto globale fra democrazie e regimi autoritari, con un fronte che va dall’Ucraina al Medioriente, a Bruxelles ci si arrovella sulla questione: Fitto passerà l’esame del Parlamento europeo? Da settimane, va alla ricerca della maggioranza di due terzi della sua Commissione di riferimento richiesta per essere promosso, impresa complessa vista la frammentazione dell’attuale Eurocamera. 

Senza entrare nei complessi meccanismi procedurali, il dato è eminentemente politico. Il futuro vicepresidente esecutivo della Commissione europea, noto per essere tanto cauto quanto inesperto di lingue straniere, ha precauzionalmente messo le mani avanti, asserendo nelle risposte scritte alle domande preliminari rivoltegli dal Parlamento Ue, di essere stato democristiano. Testualmente: “Ho iniziato la mia carriera politica nel partito di cui condividevo i valori, compresa la vocazione europea: la Democrazia Cristiana”. Lo presenta come suo punto di forza, sperando che questo inizio faccia breccia i Popolari legati alla tradizione Dc e fra liberali e socialisti che ritengono l’identità democristiana come l’eredità politica migliore che l’Italia abbia donato all’Ue.

Nessuno mette in dubbio il pedigree di Fitto. Ma resta un dato di fatto. Se anche l’uomo della Meloni a Bruxelles si è sentito in dovere di ricordare le sue lontane origini democristiane per farsi accettare dal Parlamento europeo, come può la destra italiana, continuare a dire in Patria, anzi, alla Nazione, che l’Italia non è mai stata cosi rispettata e tenuta in considerazione a livello europeo? E che questa considerazione, ammesso che esista, sia merito della Meloni o di quella parte tanto centrista quanto ininfluente dell’attuale maggioranza?

Quanto bel nazionalismo che si fugge tuttavia!

Se vuoi esser Commissario, l’eredità di De Gasperi non buttar via.