Roma, 20 ott. (askanews) – Il governo di Giorgia Meloni mercoledì prossimo compie tre anni e da oggi è il terzo più longevo della storia della Repubblica: superato l’esecutivo Craxi I, adesso ha davanti solo il Berlusconi II (per raggiungere il quale serve ancora quasi un anno a Palazzo Chigi) e il Berlusconi IV. Era il 22 ottobre 2022 quando Meloni prestò giuramento nelle mani del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, prima donna e anche prima esponente di destra-destra alla guida del governo, uscita trionfatrice dalle elezioni con un partito, Fratelli d’Italia, per anni con percentuali da ‘cespuglio’ della coalizione.
“Oggi – ha festeggiato su X – il Governo che ho l’onore di guidare diventa il terzo più longevo della storia repubblicana. Ci tengo a ringraziarvi: il vostro sostegno e la vostra fiducia sono il motore della nostra azione quotidiana. Continueremo a lavorare con serietà, determinazione e senso di responsabilità per essere all’altezza del mandato che ci avete affidato”.
Qual è il bilancio di questi tre anni? Innanzittutto qualche cifra: secondo l’ultima rilevazione Demos per Repubblica, Fdi è il primo partito in Italia al 29,8% mentre Meloni è la leader più apprezzata con un gradimento del 37% (ma in calo di sei punti percentuali rispetto a settembre 2024). Proprio la stabilità politica è uno dei dati che la presidente del Consiglio rivendica spesso come tra i più importanti, portando come prova – ad esempio – il momento positivo dell’Italia per l’attrazione degli investimenti internazionali.
A livello economico i dati sono abbastanza buoni, soprattutto rispetto alla ‘crisi’ dei vicini (Francia in testa), anche se i fondi del Pnrr hanno un impatto notevole di trascinamento sul Prodotto interno lordo. La manovra di quest’anno è probabilmente la più complicata per l’esecutivo, a causa delle ristrettezze dovute al controllo dei conti pubblici. E le tensioni nella maggioranza, in particolare tra Forza Italia e Lega, lo dimostrano.
Per quanto riguarda i migranti, uno dei principali cavalli di battaglia della premier, a oggi, secondo i dati del Viminale, gli sbarchi nel 2025 sono stati 55.948, in crescita rispetto ai 55.010 dello stesso periodo dello scorso anno ma in grande diminuzione rispetto ai 140.655 del 2023. Sui rimpatri, però, non sono stati fatti sostanziali passi avanti mentre le ‘soluzioni innovative’, a partire dai Centri in Albania, sono di fatto bloccate. Se la strage di Cutro rimane una delle pagine più buie degli ultimi anni nel Mediterraneo, in parte collegata alla questione migranti c’è anche una delle maggiori preoccupazioni, ovvero il caso Almasri con la Cpi che sta portando avanti un procedimento contro l’Italia per la mancata esecuzione del mandato di arresto a carico del generale libico, accusato di torture, violenze e omicidi nel carcere-lager di Mitiga.
Per quanto riguarda le grandi riforme annunciate all’atto dell’insediamento, al momento quella più vicina alla conclusione, tra molte polemiche, è quella della giustizia con la separazione delle carriere. Per completare il percorso parlamentare serve solo il secondo passaggio al Senato e poi si andrà al referendum, probabilmente a primavera. Ben più indietro il premierato (la “madre di tutte le riforme”) che dopo il via libera in Senato il 18 giugno 2024 si è bloccato alla Camera. Al momento in stand by anche la riforma dell’Autonomia differenziata, dopo che la la Corte Costituzionale ha sollevato dei rilievi – a partire dalla questione dei Lep – che il governo sta cercando di risolvere.
E’ a livello internazionale che, probabilmente, Meloni ha ottenuti i maggiori risultati. Accolta con una iniziale diffidenza, in Europa ha stretto un rapporto pragmaticamente positivo con Ursula von der Leyen – che certo non ama – contribuendo a spostare a destra l’asse della Commissione sulla questione dei migranti. Su questo tema ha anche intessuto alleanze con altri Paesi, a partire da Danimarca e Paesi Bassi, per fare pressione a favore della difesa dei confini esterni. L’elezione di Raffaele Fitto alla vicepresidenza esecutiva della Commissione è stato sicuramente un successo, mentre adesso la battaglia ritenuta fondamentale a Bruxelles è quella per un passo indetro, o almeno un rallentamento, sul Green Deal.
Paradossalmente però l’elezione di Donald Trump alla presidenza degli Usa le sta creando più problemi che benefici. Dopo aver rivendicato una “relazione speciale” con il tycoon, la guerra dei dazi – su cui Meloni ha portato avanti una linea fortemente ‘trattativista’ – ma anche la posizione tenuta per settimane su Israele non le hanno portato effetti positivi. E il nervosismo con cui ha reagito alle manifestazioni di piazza sembrano dimostrare un disagio. Trump dunque è un alleato scomodo, perchè imprevedibile e incontrollabile. Basti pensare al post di ieri su Truth con cui il presidente Usa ha rilanciato il messaggio di un utente MAGA che scrive: “Giorgia Meloni sfida l’Unione europea e cerca di ottenere un accordo commerciale diretto con Trump. Ben fatto Meloni. È una mossa brillante”. Un bell’imbarazzo, certificato dal “no comment” di Palazzo Chigi.
Giovedì e venerdì Meloni è attesa al Consiglio europeo, il primo dopo la pausa estiva, in cui i suoi principali ‘nemici’ sono oggi Emmanuel Macron, ma fortemente indebolito, e Pedro Sanchez. Bilancio europeo, fondi Pac e di coesione, crisi Ucraina (con il solito Trump che sembra essere tornato su posizioni filo-russe), Green deal i temi che avrà in agenda nei prossimi mesi.