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giovedì, 22 Maggio, 2025
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Tregua negata, accordo impossibile: la pace smarrita tra le righe della politica

Tra inviti del Papa e reticenze dei potenti, la tregua resta sospesa. Senza accordo e senza ascolto, la guerra prolunga sé stessa. Servirebbe il coraggio di un nuovo spartito: umano, creativo, solidale.

Le preghiere del mondo sono aggrappate a due parole che in genere sembrano congegnate per andare sotto braccio e che invece grazie alla politica mondiale sembrano diventate antitetiche.

Tregua e accordo sono i binari su cui potrebbe correre la pace in linea parallela e che invece sembrano messi a terra per divergere fino a bloccare in partenza i buoni propositi. Il bisticcio è tutto se debba intervenire prima l’una o l’altra.

La tregua richiama il tremore con cui il mondo procede davanti ad una sosta di guerra, come facesse paura, un incubo da evitare con il cinismo che si richiede. Stare su un trespolo a riposarsi con il rischio che i muscoli si raffreddino e si perda il filo delle mazzate da darsi è idea buona solo per chi vive di delirio fuori dalla realtà.

Può darsi che i potenti del mondo mostreranno di infischiarsene dell’invito alla pace di Papa Leone XIV, magari solo per un periodo temporaneo, una sorta di tregua di Dio, quella che una volta si osservava nei secoli scorsi per rispetto religioso in presenza di particolare festività come il Natale o la Pasqua. 

La Chiesa non esiterebbe oggi a tirar fuori dal cilindro una festività da osservare per tentare di dare respiro alla memoria della guerra, così che possa ricordare che è un bel po’ che è in campo ed è forse l’ora di prendere un minimo di fiato per poi ripartire nefastamente magari con maggiore slancio.

Di fondo, il pericolo della guerra è che diventi silenziosamente un vizio al quale è difficile rinunciare, un abituale modo di relazionarsi che non conosce sostituti di pari efficacia. 

D’altronde “non far tregua coi vili” è un monito usato da ogni contendente per motivarsi a continuare a spararsi addosso.

Si discute dunque circa un accordo che non convince nessuno perché nelle gole dei belligeranti manca l’armonia delle note e delle intenzioni. 

Si percepiscono solo suoni stonati di sentimenti disgiunti l’uno dall’altro. La radice latina di cuore è “cor-cordis” ed è appunto il saper tendere le corde al punto giusto con le opportune chiavette, in ritrovata assonanza con il prossimo. E’ operazione che consentirebbe la fine anche momentanea della guerra e riannoderebbe le corde e battiti ad oggi spezzati.

Se parlare di “fine” è qualcosa che stride all’anima, ci si potrebbe accontentare di ricorrere ad una sospensione. “… finalmente, con molte sospensioni, con molti ohimè, le raccontò il miserabile caso” scriveva Manzoni e di tragica vicenda si può parlare di una incapacità di pervenire appunto ad un accordo. 

Ci vorrebbe maggiore fantasia, l’arte di superarsi e di andare oltre gli schemi convenzionali di ragionamento. Potrebbe impararsi dal jazz e rubare, da quello stile, l’invenzione di un nuovo procedere. Andare fuori margine rispetto ai canoni classici della musica e dell’ispirazione può essere la via di salvezza per avere una prima notte di quiete.

Ostilità è una parola curiosa e che invita a più letture. L’hostis in antichità era lo straniero ed anche il nemico da temere. Con ugual radice è l’ostia dei Cristiani che ha però l’opposto significato di “vittima”, mentre la città di Ostia designa in origine il nome di “porta”.

Si potrebbe intendere che ciascuno può assumere la veste di nemico e di vittima a seconda della prospettiva con il quale lo si guardi e che c’è però una porta di accesso che può ricondurlo ad una sola unità di lettura che è quella della sua sacrale umanità.

Virgilio insegnava che se il coraggio si fonda sulla coscienza allora si deve avere il coraggio di lottare. Era una citazione da tempi più nobili degli attuali. Ora andrebbe ribaltata: si dovrebbe avere il coraggio di lottare per ritrovare quel tanto di coscienza per accettare la pace anche masticando amaro, un sapore utile per digerire bocconi indigesti.

Il rumore degli spari è una composizione troppo facile da eseguire, è noiosa, non fosse altro perché è sempre la stessa. I morti, sia ben chiaro, fanno sempre gli stessi segni sul pentagramma.