Lo schieramento dem, con largo consenso e prima delle primarie, si è già pronunciato in favore della Harris e non ci dovrebbero essere sorprese, specie se da parte sua ci fosse l’impegno acoinvolgere nel ticket un governatore di uno stato decisivo, uno degli stati che possono fare la differenza ai fini della vittoria finale.
Intanto la candidata alla presidenza ha dalla sua un effetto altrettanto decisivo, finora bloccato, ovvero la pioggia di finanziamenti non minore di quella trumpiana, anche grazie al sostegno di Biden, adesso percepito nuovamente come garanzia di affidabilità. E proprio per Biden, per la sua generosità e lungimiranza, non mancano grandi apprezzamenti. Giocano a suo favore l’andamento positivo dell’economia e la coraggiosa opera di tamponamento dell’assalto geopolitico portato dall’accoppiata russo-cinese, sia in Ucraina che in Palestina. L’America ha saputo lanciare messaggi di apertura anche a forze intermedie di tutta l’area medio-orientale, temendo che possa accendersi la miccia di una terza guerra mondiale, ovviamente per procura.
L’azione di contenimento nei confronti di Netanyahu, succubo dei coloni interessati ad ampliare i loro territori, è stata molto ferma. D’altronde, quel mondo estremista che preme su Netanyahu costituisce una costante provocazione da cui prende linfa, per contrasto, la reazione dei nemici di Israele, protesi come gli iraniani a una vera e propria guerra di religione.
Tornando ad Harris e al suo curriculum, risulta che il motivo preminente che portò Biden ad averla sua vicepresidente, si debba al prestigio acquisito come procuratrice della California. È vero, è rimasta in ombra in questi anni, non ha avuto incarichi particolarmente significativi, tali da metterne in luce le indubbie qualità; ma questo, paradossalmente, ha evitato che la sua personalità fosse minata da eventuali contrattempi o scivoloni.
Insomma, Kamala Harris piace e può vincere. Come ex procuratrice è l’incubo di Trump, appesantito da troppi guai con la giustizia. In sostanza, ad essere in affanno adesso è proprio Trump. Oltretutto, il fatto aver chiamato al suo fianco un clone, espressione della destra radicale, invece di un moderato della migliore tradizione repubblicana, lo rende alquanto vulnerabile. Ecco la nuda rappresentazione di questa campagna elettorale: da un lato la giovane e dinamica vice di un presidente che esce a testa alta dalla Casa Bianca, dall’altro il vecchio presidente che ne usciva quattro anni fa con disonore: non ci sono dubbi su quale debba essere per noi il volto dell’America. Che sia, poi, il volto di una donna, non può che rappresentare un motivo aggiuntivo di fiducia e di speranza.