Adesso tutti (o quasi) vogliono dare la cittadinanza italiana al giovane Rami, nato in Italia da genitori egiziani, che ha concorso in modo determinante a sventare l’attentato contro il bus scolastico nel milanese e da grande vuol fare il Carabiniere. E forse anche ad Adam.
Giusto. È il minimo che si possa fare. Ma chiediamoci: quanti sono i ragazzi “italiani”, figli di stranieri che vivono regolarmente in Italia, si comportano bene, studiano oppure lavorano e non possono avere la cittadinanza italiana?
Si tratta di un tema di grande impatto. Sono le “seconde generazioni” di cui si parla troppo poco e spesso in modo superficiale; ragazzi che, in realtà, vivono due dimensioni assieme.
“Stranieri” perché portatori della cultura della propria famiglia di origine; “italiani” perché nati in Italia e ormai definitivamente inseriti nella nostra comunità da ogni punto di vista.
Questa loro situazione paradossale può portare ad un effetto devastante, in prospettiva: la crescita dentro le nostre comunità di enclave di giovani cittadini che si sentono tutt’al più tollerati ma non pienamente accettati quali membri attivi e partecipi della nostra società, come invece, di fatto, essi già sono.
L’esperienza di altri Paesi Europei dimostra che ciò non porta nulla di buono alla necessaria coesione del contesto civile e sociale ed alla difesa della stessa sicurezza democratica.E – oltretutto – priva la società dell’apporto pieno e completo di risorse umane dotate spesso di grande potenzialità.
Bene dunque che ci si proponga di dare la cittadinanza italiana al giovane Rami. Ma essa non può essere solo una sorta di (giustissimo) premio a fronte di comportamenti eclatanti e degni di enfasi mediatica.
La cittadinanza italiana – con i diritti e i doveri che comporta – va riconosciuta nella “normalità “ anche a tutti questi ragazzi che sono ormai nostri concittadini, studiano, lavorano, fanno sport, frequentano i ritrovi sociali esattamente come i figli degli italiani di origine.
Non aver approvato, nella scorsa Legislatura – per timori elettorali o per contrarietà ideologica – la proposta di Legge sostenuta da larga parte del centro sinistra – e in primis dal Gruppo Parlamentare che ho avuto l’onore di presiedere – è stato, in questo senso, un grande errore. Che non ha aiutato la nostra comunità a ragionare con pacatezza e con lungimiranza, nel suo stesso interesse.
Urge, per il futuro della nostra democrazia (e anche della nostra sicurezza) una Politica con la spina dorsale, capace di far riflettere la comunità su queste tematiche. Senza pregiudizi e senza buonismi: semplicemente con la razionalità e l’umanità che sono l’alfa e l’omega della buona politica.