È agosto.
Le città si svuotano, i cantieri si fermano, il rumore delle ruspe lascia spazio a un silenzio sospeso. Le strade, per mesi attraversate da uomini e macchine al lavoro, ora sembrano trattenere il respiro. Tutto si arresta, come in attesa.
E viene da chiedersi: dove sono finiti gli umarell?
In molte città italiane, c’è una figura che ritorna con discrezione: un uomo anziano, le mani dietro la schiena, lo sguardo rivolto a un cantiere. Non fa rumore, non pretende attenzione, ma c’è. È l’umarell, parola bolognese che oggi indica con affetto quei pensionati che si fermano ad osservare i lavori stradali o edilizi.
Ma dietro quella postura familiare c’è più di una semplice curiosità. C’è un modo di abitare il tempo con pazienza, di restare fedeli ai luoghi, di custodire il senso di comunità. È un gesto di presenza gratuita: uno sguardo che veglia, una compagnia muta ma costante alla vita della città che cambia.
L’umarell non cerca utilità. È lì per partecipare con gli occhi e con il cuore. Forse perché, con il passare degli anni, si impara a guardare meglio. Si impara che osservare può essere una forma d’amore.
Negli ultimi anni, questa figura è stata riconosciuta anche a livello linguistico. Nel 2021, il termine “umarell” è stato inserito nello Zingarelli, e nel 2022 nel vocabolario Treccani come neologismo. Un piccolo riconoscimento che racconta un tratto autentico della nostra cultura: la capacità di dare valore anche alle presenze semplici, fedeli, quotidiane.
E ora che tutto tace, che i cantieri sono chiusi e i rumori svaniti, forse gli umarell sono ancora lì. A guardare non più il fare, ma l’attesa. Perché anche il silenzio ha bisogno di testimoni. Anche la pausa ha bisogno di uno sguardo che la accompagni.
In un mondo che corre, loro si fermano. E nel fermarsi ricordano che c’è dignità nell’esserci, senza clamore, senza protagonismo.
Che il tempo donato, anche senza scopo apparente, è tempo abitato.