La vita politica italiana è certamente in una fase di transizione, anche se il presidente del Consiglio dei ministri, Mario Draghi, ritiene che non è questa la crisi della politica. 

Ma all’interno del discorso tenuto a Palazzo Madama, probabilmente quest’ultima affermazione è l’unica nota dolente di una relazione equilibrata, competente, che mette a fuoco i veri problemi reali di questo Paese in tale fase emergenziale.

Certo, la maggioranza anomala ed ampia che sostiene il neo presidente non può non portare quest’ultimo ad elargire sentimenti politici di entusiasmo, ma evidentemente di circostanza.

Non ci vuole molto per capire che proprio l’attuale situazione di emergenza mette a nudo l’incapacità della politica e, conseguentemente, dei partiti politici nel saper affrontare non solo questa pandemia, ma soprattutto nel saper costruire un progetto ed un programma di ampio respiro.

Padre Bartolomeo Sorge soltanto qualche anno fa, guardando la realtà politica italiana, sosteneva che “i partiti sono morti che camminano”.

Del resto, basta aver ascoltato gli interventi che si sono susseguiti nel dibattito al Senato per rendersi conto della pochezza ideale e qualitativa di una classe politica improvvisata e nominata.

Non a caso l’unico intervento degno di nota per serietà culturale, ideale e programmatica è stato quello della senatrice a vita Elena Cattaneo.

Proprio da questo dibattito parlamentare occorrerebbe partire per una riflessione seria e pacata su come la politica può essere rifondata su basi nuove.

Il primo punto da affrontare con coraggio è quello riguardante il fallimento della politica bipolare: una sorta di forzatura avvenuta all’indomani di mani pulite come risposta, nel contempo, etica e stabilizzatrice di un quadro politico variegato in nome della governabilità.

Questo fallimento è sotto gli occhi di tutti, non bisogna essere politologi per coglierne i tratti salienti. Si è scomposto e ricomposto, sommato meccanicamente culture politiche diverse in un solo partito; sono nati movimenti in funzione dell’antipolitica; costruito programmi antieuropei e sovranisti; partiti personali.

Tutto però è caduto nel vuoto della nullità politica, nella ingovernabilità permanente, nella corruzione e nei nuovi scandali.

Forse non si è capito, o non si è riflettuto abbastanza, ad eccezione proprio di padre Sorge, che la caduta del muro di Berlino e la conseguente fine delle ideologie del Novecento, ponevano problemi di radicale rinnovamento culturale dei partiti politici. L’illusione è stata quella del semplice cambio dei nomi e dei simboli dei partiti per rimanere poi inerti di fronte alle nuove sfide e ai cambiamenti sempre più veloci della società.

Ne è venuto fuori proprio tutto quello a cui assistiamo in questo tempo, con una classe politica impreparata sia a cultura quanto ad etica della politica.

Una politica senza etica è la morte della società: tutto si riduce a riforme tecniche, aride e prive di un vero sentimento di giustizia sociale e di rigore morale.

Ed allora, non per essere monologhi e ripetitivi, ma per dare una propsettiva seria alla politica italiana, occorrerebbe un nuovo umanesimo (come diceva padre Sorge); un nuovo umanesimo che in questa società globalizzata sia capace di camminare insieme con il diverso, perché ciascuno da solo è inerme di fronte alle sfide e ai problemi quotidiani della vita.

Occorre, però, anche tornare alle fonti ideali, non per essere nostalgici o per riproporre meccanicamente modelli partitici del passato, ma per riscoprire e riaffermare in modo nuovo gli ideali etici che hanno caratterizzato i partiti del secolo breve: etica, moralità, giustizia sociale, solidarietà e valore della persona umana.

Su queste basi non è più peregrino pensare ad un nuovo impegno politico dei cattolici democratici nella vita pubblica.