L’autore riprende il discorso del Segretario generale della Cisl in merito alla partecipazione dei lavoratori alla vita delle aziende. D’altronde, egli sostiene, la presenza del lavoro nel capitale e negli organismi sociali si inserisce, a pieno titolo, nella prospettiva dell’economia sociale di mercato.

Lorenzo Caselli

Un patto sociale per il rilancio e la ricostruzione del Paese costituisce e non da oggi un’idea forte della Cisl, ribadita dal suo segretario generale Luigi Sbarra in una sua intervista ad «Avvenire». Un patto sociale che per la sua efficacia presuppone la partecipazione dei lavoratori alla gestione di impresa così come avviene in Germania. Credo che questa tematica, nell’ambito di un discorso più generale di democrazia economica, vada messa all’ordine del giorno e affrontata senza troppe pregiudiziali ideologiche. Le prospettive che possono aprirsi appaiono di grande importanza, specie in un contesto caratterizzato da alcune condizioni al contorno: aspettative di crescita, quadro normativo, istituzionale e contrattuale sostanzialmente omogeneo a livello europeo, misure giuridiche e fiscali incentivanti, investimenti formativi e informativi onde garantire affidabilità e trasparenza nei comportamenti dei diversi attori.

La partecipazione del lavoro al capitale d’impresa e la sua presenza negli organi sociali conferiscono, in qualche misura, stabilità e soprattutto radicamento all’impresa stessa evitando le degenerazioni di un capitalismo invisibile e imprendibile, totalmente svincolato dalle esigenze ma anche dagli apporti in termini di cultura, valori, professionalità, relazionalità che possono provenire dalle comunità territoriali di riferimento, produttrici di quel «capitale fisso sociale» che si rivela sempre più fattore di competitività e di successo. I lavoratori direttamente coinvolti nello sviluppo dell’impresa, attenti alla qualità e quantità dell’occupazione, possono rappresentare un antidoto salutare contro la divaricazione tra dinamica reale e dinamica finanziaria, ponendo quest’ultima al servizio di un disegno di crescita che, nel mentre crea benessere per tutti gli interlocutori (gli stakeholder, come di dice oggi) dell’impresa, concorre altresì alla valorizzazione del suo stesso capitale.

Il destino delle aziende, come istituzioni produttrici di ricchezza e di benessere non possono essere abbandonate agli esiti di giochi meramente speculativi espropriando i luoghi dell’intelligenza e della progettualità reale. La partecipazione dei lavoratori concorre a creare un clima di consenso e di fiducia che, nel mentre può contribuire ad accrescere (nel medio periodo) la redditività dell’impresa, crea risorse addizionali, spendibili anche – secondo una circolarità virtuosa – nella tradizionale attività negoziale e contrattuale. La presenza del lavoro nel capitale e negli organismi sociali si inserisce, a pieno titolo, nella prospettiva dell’economia sociale di mercato.

Da un lato, tale presenza può essere garanzia di stabilità contro il rischio di pressioni speculative di breve termine che nulla hanno a che vedere con lo stato di salute dell’impresa; dall’altro lato non si esclude la contendibilità dell’impresa medesima nel senso che il management, non potendo contare più di tanto sul diaframma di incroci azionari, partecipazioni a cascata, ecc., deve pur sempre confrontarsi con la capacità di iniziativa dei rappresentanti dei lavoratori negli organi societari, specie se i lavoratori sono anche azionisti. In definitiva, per quanto riguarda il nostro Paese, un ruolo attivo dei dipendenti nella governance e anche nel capitale dell’impresa può concorrere alla riforma e al consolidamento del capitalismo italiano in una prospettiva europea.

 

Il grande patto sociale di cui parla la Cisl si colloca in questa ottica e potrebbe realizzarsi attraverso un processo articolato e progressivo da calare nella concretezza delle situazioni collegando aspetti macro e aspetti micro, le grandi politiche economico sociali e le scelte delle imprese, del sindacato, delle istituzioni; mettendo in comunicazione pubblico, privato e Terzo settore superando separatezze e contrapposizioni; tutelando coloro che sopportano i costi delle trasformazioni (o ne sono esclusi) e valorizzando nel contempo le competenze, le professionalità, la creatività di coloro che promuovono il cambiamento, riducendo le distanze mediante impostazioni solidaristiche attive.

 

*Lorenzo Caselli, professore emerito Università di Genova, è stato presidente nazionale del Meic dal 1996 al 2002 ed è vicepresidente dell’Istituto per lo studio dei problemi sociali e politici «V. Bachelet». Il contributo proposto è stato pubblicato su Avvenire del 16/9/2021 e riproposto sul sito dell’Azione Cattolica (da cui è tratto il testo integrale).