Come già ricordato, è la Polonia ad esercitare la Presidenza del Consiglio dell’Unione europea in questi primi sei mesi del 2025. Le priorità elencate nelle 52 pagine di programma, riassunte dallo slogan “Sicurezza, Europa”, sono chiare: difesa, protezione di cittadini e frontiere, resistenza ad ingerenze straniere e disinformazione, sicurezza e libertà per le imprese, sicurezza sanitaria, transizione energetica, competitività dell’agricoltura. Come detto da Donald Tusk nei giorni scorsi: “Se l’Europa è impotente, non sopravvivrà. Dobbiamo fare di tutto affinché l’Europa e la Polonia non debbano pagare il prezzo più alto per la libertà, per la forza, per la sovranità. Facciamo di tutto per rendere l’Europa di nuovo forte”. Parole che riecheggiano lo slogan del Secondo corpo d’armata polacco, guidato dal generale Władysław Anders, quando, nel 1944, risaliva la penisola: “Per la vostra e la nostra libertà”. Quei cinquantatremila militari diedero un contributo decisivo alla liberazione dell’Italia, dalla battaglia di Montecassino alla liberazione di Bologna. Lo stesso Tusk ha davanti a sé una battaglia politica cruciale: le presidenziali del prossimo 18 maggio che vedranno contrapporsi la variegata coalizione europeista guidata dal PPE e i conservatori dell’ECR e proprio martedì la presidenza del partito è passata da Giorgia Meloni all’ex premier polacco Mateusz Morawiecki.
Dal timore di una Europa che sa giocare solo in difesa, nasce la necessità di un dibattito che affronti la dicotomia fra populismo e popolarismo. Negli ultimi 10/15 anni, al crescere dell’astensione alle urne, ha corrisposto una crescita esasperata dei toni dei protagonisti della politica -come se la risposta a chi non va a votare fosse urlare di più- ed è un fenomeno apparentemente solo di destra, basti pensare alle promesse elettorali di Mélenchon in Francia o le politiche del Movimento 5 Stelle in Italia, che sembrano più adatte al governo di Paperopoli. Ricette facili per gli europei di oggi che hanno paura del futuro come mai prima. Le guerre, la minaccia terroristica e la crescente povertà fanno dell’Europa un continente vecchio, impaurito, piccolo e per di più anche diviso.
La creazione del consenso è sempre più difficile quando la pubblica opinione sembra orientata a premiare chi, esasperando i toni, indica non le soluzioni ai problemi ma i colpevoli, siano essi i migranti, le banche, i poteri forti, e chi più ne ha più ne metta. È necessario uno sforzo da parte di chi si identifica nei valori del PPE per costruire una solida identità’ politico culturale che riporti la politica nel cuore dei cittadini. Un atto di coraggio da parte di chi, in vari Paesi, ha messo da parte il primato della politica, magari in cambio di prestigiosi incarichi che sono però di testimonianza, quando non di mero opportunismo, e non basi su cui costruire la base per il cambiamento.
La necessità di tenere unite le nostre società e rilanciare il nostro continente non può essere ignorata oltre. È un dibattito che attraversa il PPE in vari Stati membri: ieri Bulgaria, Ungheria, Romenia, Italia e Olanda, oggi Austria, domani la Germania. La difficoltà di trovare soluzioni in fretta e vincere i crescenti populismi è la sfida dei Popolari europei di oggi. E solo recuperando il filone cattolico democratico si possono affrontare le emergenze, creare coesione nei territori, coniugando crescita, solidarietà e giustizia sociale. Questo nuovo approccio è tanto più urgente quanto più difficili sono le sfide di oggi. Lo stesso Segretario generale della Nato, lunedì, in audizione alle Commissioni Affari esteri e Sicurezza e difesa del Parlamento europeo, ha spiegato la necessità di ripensare la spesa pubblica, per accrescere quella per la difesa, indicando possibili tagli a sanità, pensioni e welfare a copertura. È vero, come dice Rutte, che “non siamo in guerra, ma nemmeno in pace”. Ma servono responsabilità e capacità fuori dal comune, ben diverse da quelle oggi generalmente in campo, pena il disgregamento definitivo dell’Unione e delle nostre società.