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martedì, 18 Novembre, 2025
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Veneto, Meloni attacca sinistra. E lancia volata a primato Fdi

Padova, 18 nov. (askanews) – Il repertorio è quello classico da comizio e in molti passaggi ricalca gli interventi già pronunciati nelle altre due regioni, Campania e Puglia, che andranno al voto, insieme al Veneto, domenica e lunedì prossimi. Ma per il centrodestra quella in Veneto non è una elezione qualsiasi, e non lo è soprattutto per Giorgia Meloni che dopo mesi di trattative ha accettato che il candidato a succedere a Luca Zaia fosse il leghista Alberto Stefani, sebbene da queste parti Fdi si sia attestato come primo partito sia alle Politiche che alle Europee. Un primato che la premier intende mantenere. La vittoria della coalizione di governo nei fatti è data per scontata e il punto, come spiega il ministro delle Infrastrutture, non è vincere ma “stravincere”. Poi, però, c’è la sfida nella sfida a chi ottiene più consensi, soprattutto tra i meloniani e il partito di Matteo Salvini.

Il centrodestra si presenta al Palageox di Padova per il comizio di chiusura come sempre ostentando la sua unità. Lo sottolinea anche la presidente del Consiglio che marca la differenza tra quella che definisce una “comunità umana e politica” e il campo largo che descrive come “una alleanza di comodo tenuta insieme da una colla scadente”. Ma basta gettare un’occhiata alla ‘guerra delle bandiere’ per capire che la competizione interna è fortissima. Quelle di Fratelli d’Italia spiccano per quantità, il resto lo fa l’ovazione alla presidente del Consiglio poco prima che salga sul palco. Giorgia Meloni sa che deve mandare un messaggio anche alla sua comunità e lo fa definendola “onesta” e, non a caso, “generosa” in particolare qui in Veneto: se non ci fossero loro, spiega, “io non potrei fare il lavoro che faccio”. Idem nel passaggio molto affettuoso dedicato ad Alberto Stefani al quale, però, la presidente del Consiglio augura di governare attorniato da una “numerosa pattuglia di consiglieri” del suo partito.

Nessun accenno alla polemica del giorno, quella che ha visto salire improvvisamente la tensione tra il Quirinale e il suo partito dopo che il capogruppo alla Camera, Galeazzo Bignami, aveva chiesto conto di un retroscena della ‘Verità’ secondo cui il consigliere di Sergio Mattarella, Francesco Saverio Garofani, ipotizzava la necessità di uno “scossone” per sbarrare la strada al governo e evitare una nuova vittoria del centrodestra alle prossime elezioni Politiche.

Meloni invece difende le riforme ancora da fare, come quella del premierato, parla delle “promesse mantenute” sull’Autonomia, riferendosi alle pre intese firmate proprio oggi in Veneto sulle materie non Lep. Ma soprattutto esalta la riforma della giustizia. Il referendum sulla separazione delle carriere, ribadisce ancora una volta, non è un test sul governo. “Non fatevi fregare, durerà fino alla fine della legislatura”, dice. “L’opposizione – aggiunge – non sa più cosa inventarsi per avvelenare i pozzi. Talmente non hanno argomenti che alcuni giornalisti si sono dovuti inventare le finte dichiarazioni di Giovanni Falcone e di Paolo Borsellino. A chi legittimamente si oppone a questa riforma dico fate la vostra battaglia senza sconti ma non strumentalizzate gli eroi di questa nazione per tornaconto personale. Al loro cospetto noi dobbiamo solo inchinarci. Di grazia lasciateli stare”.

La premier affonda il colpo contro la sinistra che, afferma, “ha la puzza sotto il naso” e crede che la maggioranza sia il circoletto “autoreferenziale” che si parla nei salotti, quella sinistra che ha scommesso sul fallimento del suo esecutivo perché preferisce “avere l’opportunità di governare sulle macerie piuttosto che stare all’opposizione in una nazione che cresce”. Quella sinistra che ha tra i suoi padri Romano Prodi, uno che “sul voltare le spalle all’Italia ha una cattedra all’Università”.