La situazione umanitaria a Gaza ha superato ogni limite di decenza. Fame, bombardamenti mirati sui civili, ospedali distrutti, bambini massacrati mentre attendono un pugno di riso: è la fotografia quotidiana di una crisi che l’Occidente continua a osservare con inaccettabile passività. Israele colpisce scuole, chiese, giornalisti, delegazioni internazionali. Il suo è un progetto sistematico di espulsione, uno sradicamento violento del popolo palestinese dalla propria terra.
In questa tragedia, la comunità internazionale resta paralizzata da parole vuote. Appelli alla pace che si dissolvono nel rumore delle bombe. Troppo spesso si finge di non vedere, come già accadde in altri momenti oscuri del Novecento. E proprio da Israele, che fu vittima della persecuzione nazista, ci si aspettava una memoria operante, non una replica tragica dell’ingiustizia.
La svolta di Macron
Adesso qualcosa si muove. Per la prima volta, un grande Paese europeo rompe il muro della neutralità. “Fedele al suo impegno storico per una pace giusta e duratura in Medio Oriente, ho deciso che la Francia riconoscerà lo Stato di Palestina. Ne farò l’annuncio solenne all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, il prossimo settembre”, ha scritto Emmanuel Macron. Una dichiarazione che, nel definire “possibile” la pace, segna un punto di non ritorno.
Anche il Regno Unito e altri governi stanno valutando di seguire Parigi. È un segnale forte che isola la politica aggressiva di Netanyahu e ne denuncia apertamente le responsabilità. Il premier israeliano, con le sue scelte, ha compromesso il dialogo interreligioso e riacceso pericolosi sentimenti di ostilità contro le comunità ebraiche nel mondo. La memoria del 7 ottobre — strage efferata di Hamas — è stata offuscata da una reazione sproporzionata e distruttiva.
Oltre la follia
Le parole servono a poco, ormai. A Gaza si vive e si muore in modo disumano. Il “civile Occidente” ha il dovere morale di agire, anche valutando l’invio di una forza di interposizione per fermare la mattanza. Non ci si può più rifugiare nella retorica delle equidistanze o nelle dissertazioni sulla definizione di genocidio.
Chi ha ancora coscienza non può che unirsi al grido del cardinale Augusto Paolo Lojudice: “C’è chi si è stracciato le vesti leggendo la parola genocidio usata da Francesco in un libro, ma a Gaza siamo oltre la follia; è all’opera il male più sfrenato e senza logica. L’uccisione di bambini in fila per un pugno di riso grida giustizia a Dio. Nessuna violenza può strumentalizzare il nome di Dio. A Gerusalemme ho sentito frange fondamentaliste farsi scudo delle Scritture per calpestare i diritti umani. In realtà non c’è più modo di tentare una spiegazione”.