Pubblichiamo il documento elaborato da un qualificato gruppo di lavoro, coordinato dal prof. Luigi Paganetto, che intende affrontare in una nuova prospettiva di medio-lungo periodo la questione del Mezzogiorno.

Premessa

Per impostare una proposta di rilancio del Mezzogiorno, una proposta concepita in logica di “sistema”, è opportuno effettuare prima una sintetica analisi sul lungo periodo di stasi e di inimmaginabile atarassia che ha caratterizzato la gestione del Mezzogiorno da parte dello Stato. Inserire le proposte per il Sud in una strategia di ricomposizione di sistema, che trovi la sua collocazione nel quadro in cui oggi si muove l’Europa, in maniera non assistenziale   riducendo le diseguaglianze che impediscono livelli coerenti e omogenei basilari per qualità della vita; e di dotare il Paese del “secondo motore” – il Sud – sinergico col “primo motore” del Centro-Nord, indispensabile per il rilancio di entrambe le macro-aree e  funzionale a un riequilibrio del Paese e a ristabilire la sua posizione in Europa. Per farlo occorre partire dal quadro competitivo in cui la stessa Europa si colloca e le sfide che deve fronteggiare. Oggi siamo concentrati come è giusto che sia  sulla pandemia e la crisi devastante che stiamo vivendo. Molto è stato fatto L’abbandono delle regole di Maastricht, il cambio di rotta della politica monetaria della BCE e il programma d’intervento del Next Generation EU ci assicurano un contesto in cui è possibile la ripresa. Ma non bisogna dimenticare che la EU, nel momento in cui è impegnata a superare il quadro pandemico si trova a fare i conti con lo straordinario cambiamento globale che si è prodotto in questi anni a cui deve rispondere come già aveva cominciato a fare al momento dell’insediamento della nuova Commissione. Due sono gli aspetti chiave. Il primo, che ci riguarda da vicino, è il mancato aumento della produttività (per il quale occupiamo gli ultimi posti) a dispetto dei grandi progressi della tecnologia e dell’aumento degli investimenti in “intangibles”, quali software e intelligenza artificiale. Il secondo, è il raccorciamento delle catene del valore collegato ai rischi e alle incertezze di un mondo dominato dalla pandemia. Né bisogna dimenticare la sfida che nasce  dalle tendenze di lungo periodo dell’invecchiamento della popolazione europea e le sue conseguenze  rispetto a produttività welfare e crescita,  anche se essa  potrebbe essere in parte bilanciata dagli effetti positivi di  migrazioni ben regolate. C’è, infine, la questione della transizione energetica e quella dei conflitti commerciali in corso per la supremazia tecnologica, in particolare tra Cina e Usa. Questo quadro ci consegna un mondo in cui la EU si trova a confrontarsi con questioni veramente complesse in cui le aree più dinamiche del mondo sono oggi in una situazione di vantaggio relativo. L’integrazione tra le diverse aree del mondo tende a ridefinirsi. È  con le “nuove fabbriche del mondo” come quella già realizzata dai Paesi del sud-est asiatico dall’ASEAN che bisogna confrontarsi. Conta, in questo quadro, la capacità dell’Europa di puntare su quella leadership tecnologica e capacità d’innovazione, diminuita nel tempo e che, intanto, è diventata il terreno di scontro tra Usa e Cina. Dobbiamo prendere atto che non ci sono soltanto i grandi del mondo (a cominciare da Cina, Usa e Giappone) ma nuovi competitors globali, come i Paesi del sud est asiatico e le nuove aggregazioni di libero scambio, quale la recente (Rcep) tra Asean, Australia, Cina e Giappone. Gli effetti, per il nostro Paese cominciano a vedersi nella composizione dell’export, in particolare – nel nostro caso – con l’aumento del peso dei prodotti intermedi rispetto ai prodotti finiti. Ciò che sta accadendo dovrebbe spingere la EU a crearsi nuovi spazi economici, a cominciare da quello più immediatamente realizzabile, quello della sponda sud. Un’Europa che guardi al Mediterraneo non sarebbe solo un grande vantaggio per il nostro Mezzogiorno ma lo sarebbe anche per il Paese e per l’insieme della EU perché aprirebbe nuovi spazi commerciali con le nuove rotte del commercio e con l’adozione di tecnologie cui i Paesi della sponda sud  potrebbero partecipare, come è facile pensare per il caso delle grandi reti e dei collegamenti  di energia solare da realizzare nelle aree desertiche del Sahara. La nostra politica economica dovrebbe tenerne conto, sia nelle sue linee generali che in quelle previste dal PNRR, prendendo in considerazione  le opzioni d’investimento su infrastrutture e logistica coerenti con questa prospettiva.

Il Progetto di sistema si dovrebbe perciò articolare in Opzioni di Sistema essenziali per imboccare percorsi credibili utilizzando strumenti disponibili.

L’incapacità di attivare la spesa rappresenta il riferimento più critico e più dannoso; in proposito non possiamo dimenticare il limitato uso del Fondo Coesione e Sviluppo 2014 – 2020 o la mancata realizzazione della serie di opere della Legge Obiettivo, approvate sin dal 2014 come, solo a titolo di esempio: un lotto della strada statale 106 Jonica, l’asse viario Caianello – Benevento (Telesina),  l’Agrigento – Caltanisetta, la Palermo – Agrigento, l’asse AV/AC Palermo – Messina – Catania, il collegamento tra l’autostrada A1 ed il porto di Bari, il collegamento tra il porto di Napoli e la piastra logistica di Nola – Marcianise, l’asse viario Maglie – Santa Maria di Leuca. Ma tutte queste sono responsabilità meno gravi di ciò che, invece, è stata la completa assenza di una strategia concreta e misurabile per il rilancio organico del Mezzogiorno. Questa assenza, solo oggi, la misuriamo proprio esaminando le azioni annunciate e rimaste tali; ci riferiamo a:

  • un “Piano per il Sud e la coesione territoriale” presentato ufficialmente a Gioia Tauro un anno fa e rimasto solo un atto programmatico
  • le Zone Economiche Speciali (ZES) rimaste una interessante delimitazione spaziale e prive di ogni supporto tecnico – economico e di ogni strumento procedurale in grado di attrarre interessi imprenditoriali
  • le realtà portuali, sempre del Mezzogiorno, escluso il caso Gioia Tauro, che non hanno avuto dal Governo nessun supporto per essere in grado di diventare competitive nel teatro economico del Mediterraneo, consentendo, nel frattempo, la crescita di porti come Algeciras, Valencia e Pireo (15 milioni di TEU in soli tre porti mentre il nostro Paese è fermo a 10 milioni di TEU)

1.

Partendo, quindi, dal Piano del Sud, riteniamo opportuno ribadire che una pianificazione dedicata al Mezzogiorno o una lettura del Mezzogiorno come dimensione geografica a se stante è un comportamento antitetico a ciò che invece riteniamo approccio di “sistema”. E l’approccio di “sistema” impone una lettura organica e unica dell’intero assetto Paese: sarebbe bene produrre subito un documento organico del rilancio della offerta infrastrutturale e logistica del Paese; riguardo a ciò si ritiene utile ed indispensabile prendere come riferimento la ultima edizione delle Reti TEN – T in cui non sono presi come riferimento portante solo i Corridoi ma anche i nodi metropolitani e i nodi logistici (porti, interporti ed aeroporti).

Ebbene, tale documentazione, supportata da una corretta verifica da parte della Banca Europea degli Investimenti (BEI) rappresenta, senza dubbio, una base utilissima che annulla la storica ghettizzazione che ha caratterizzato il rapporto tra organo centrale e Mezzogiorno. Rileggendo, quindi, con la massima umiltà tale documentazione scopriremmo quanto sia essenziale nella realtà meridionale l’assetto funzionale dei nodi. La qualità e la incisività delle realtà urbane – grandi e medie – del Sud sono il riferimento portante della crescita e dello sviluppo e la organizzazione della offerta trasportistica di tali aree, sia quella interna sia quella fra le varie realtà, costituisce senza dubbio una forte penalizzazione per i bilanci familiari: il costo del trasporto pubblico locale per le famiglie residenti del Mezzogiorno supera i 12 miliardi di euro l’anno; basterebbe trasferire nelle realtà del Mezzogiorno il modello “Metrebus” per dare vita ad una prima proposta di “sistema”.

2.

In merito alle Zone Economiche Speciali (ZES) è necessario seguire un preciso codice comportamentale: in particolare, in tutto il Paese, il numero di tali Zone non può essere superiore a 5 o 6 siti e solo tre ubicati nel Sud. Ma quali sono le condizioni di convenienza di tali aree? senza dubbio le cinque condizioni, quali:

  • regime fiscale di vantaggio, che contempla l’abbattimento totale della tassazione su alcune tipologie di imprese;
  • procedure amministrative semplificate;
  • possibilità di rimpatrio agevolate di investimenti e profitti;
  • dazi ridotti su importazioni, esenzione su tasse per esportazione;
  • canoni di concessione agevolati.

 

Queste condizioni vanno reinventate e gestite con un’ottica manageriale e privatistica e non, come avvenuto finora, nelle realtà meridionali dove si sono rivelate veri fallimenti programmatici. Ma la cosa principale è un immediato confronto con gli Uffici della Unione Europea, per costruire e concordare insieme alcune condizioni ed alcuni vincoli che possono davvero cambiare le attrazioni del mondo imprenditoriale verso tali realtà. Occorre cioè evitare che si ripeta quanto successo ultimamente con la norma sulla decontribuzione per le attività imprenditoriali nel Sud; tale norma è stata inserita nella Legge di Stabilità 2021 ma non è operativa perché non ancora autorizzata dalla Unione Europea.

3.

Per comprendere il ruolo della portualità nel Mediterraneo è utile effettuare una attenta analisi degli interessi dei Paesi della Unione Europea nei confronti del Mediterraneo. In particolare, nei lavori che portarono alla definizione del Corridoio Rotterdam – Genova e del Corridoio Baltico – Adriatico appare in modo evidente l’interesse dei Paesi del Nord Europa (Olanda, Danimarca, Svezia e Germania) di interagire e di integrarsi sistematicamente con il bacino del Mediterraneo. Per l’Italia non è stato facile far capire la importanza del collegamento tra Genova ed i valichi del Sempione e del San Gottardo ed ora, finalmente, i lavori – dopo anni di blocco e di ripensamenti – stanno andando avanti. Non possiamo neppure sottovalutare quanto sia stato lungo l’iter autorizzativo del tunnel che attraverserà il Fehmarn Belt.  Entrambe le opere stanno ormai in fase realizzativa, come in fase realizzativa è il valico ferroviario del Brennero. In realtà il Nord Europa ha scoperto la importanza della osmosi tra la parte più settentrionale della Unione ed il teatro economico del Mediterraneo.

Un teatro dove coesistono la Regione più attiva e più ricca (almeno lo era prima della pandemia) dell’intero sistema comunitario, la Lombardia, parti delle Regioni Piemonte, Liguria, Emilia Romagna e Veneto e  una vasta area, quella del Mezzogiorno, con due grandi isole, ricca di potenzialità ma povera di infrastrutture capaci di trasformare queste potenzialità in convenienze produttive. Ed allora forse solo in questi ultimi anni cominciamo a capire di aver regalato ai Paesi del Nord Europa questo accesso strategico e di non aver pensato che bisognava contestualmente rafforzare, nella sua interezza, il Corridoio Helsinki – La Valletta, quel Corridoio che trova anche nella continuità territoriale tra il continente Europa e la Sicilia le sue finalità strategiche, quel Corridoio che, a tutti gli effetti, è la vera spina dorsale della intera Unione, quel Corridoio che regala all’Italia le convenienze e le potenzialità nascoste dell’intero bacino del Mediterraneo. Molti diranno che in fondo la Unione Europea aveva approvato il collegamento stabile come progetto a se stante, sì con la stessa logica con cui aveva approvato e supportato segmenti chiave di Corridoi come il collegamento Copenaghen – Malmö o come il richiamato tunnel Fehmarn Belt e quindi la responsabilità è solo nostra, solo del Governo italiano; abbiamo scelto di non pensare alla grande; strano che, invece, per il tunnel Torino – Lione o per il Terzo valico dei Giovi tra Genova e Milano o, ancora, per il Brennero, avevamo pensato alla grande. In realtà abbiamo preferito non far partecipare ai vantaggi generati da questa osmosi strategica tra sistemi portuali del Nord Europa e quelli del settentrione del Paese l’intero sistema logistico del Mezzogiorno e abbiamo dimenticato che in tal modo rendevano la Sardegna e la Sicilia sempre più isole, sempre più aree estranee ad una possibile crescita.