Pubblichiamo il contributo dell’autore al libro, curato da Ennio Pasinetti e Franco Franzoni per Scholé/Morcelliana, Vittorio Sora. Le radici di una passione civile. Stamane a Quinzano d’Oglio, Comune di cui Sora fu Sindaco, il bel volume di ricordi e testimonianze a 25 anni dalla scomparsa verrà presentato ufficialmente. Dopo i saluti del Sindaco Lorenzo Olivari, prenderanno la parola Mauro Guerra, Giuseppe Guzzetti e Bruno Tabacci. A coordinare i lavori sarà Tino Bino, esponente storico della intellettualità cattolico democratica bresciana.  

 

Come si fa a scrivere il ricordo di qualcuno così vivo? Come si fa a fissare con le parole un’attitudine così aperta nei confronti della vita? Aperta al vivere, e soprattutto al vivere degli altri. Di Vittorio Sora si dice che fosse un uomo di dialogo, ma anche questa definizione è riduttiva. A Vittorio gli altri, semplicemente, piacevano. Allo stesso modo, gli piaceva avviare discorsi su ciò che si poteva fare e ottenere per i suoi – che fossero quelli della Bassa, i lombardi o i cittadini del suo paese natale di cui divenne sindaco a cinquantacinque anni – e gli piaceva frequentarli. 

Ci invitava nella sua casa di Quinzano d’Oglio, la stessa in cui non mancava mai di sottolineare che era nato, e ci ospitava in questi lunghi pranzi in cui sedevamo tutti vicini a mangiare salsicce. Noi, che arrivavamo da Milano accompagnati dalle mogli, e gli agricoltori e gli uomini e le donne della Bassa con cui era cresciuto. Ricordo ancora la naturale simpatia che aveva suscitato in Carla, mia moglie: anche lei, come me, aveva trovato irresistibile quel suo mondo di impegno, di speranza, di futuro. E proprio parlando con lui, frequentandolo – una frequentazione che era in breve tempo diventata amicizia nel senso più pieno del termine – ero arrivato a scoprire la ricchezza del mondo di cui faceva parte. Prima di entrare in casa sua e mettermi a tavola con lui e la sua famiglia, il suo mondo non lo conoscevo. Era assolutamente nuovo e pure assolutamente vero. Un mondo che peraltro non finirò mai di rimpiangere. La sua conoscenza mi aiutò a capire non solo Vittorio, bensì quasi tutto di quello che gli girava attorno e girandogli attorno incarnava la cultura cattolico-democratica tra le altre culture, il popolo dei nostri paesi e delle nostre campagne tra le nostre città, e il popolo bresciano. Così diverso da quello milanese e così unico tra quelli lombardi, di cui Vittorio era la personificazione. Ma il suo impegno non interessò solo i bresciani e i lombardi e giunse fino in Somalia, dove l’associazione che presiedeva fornì i mezzi per dare assistenza sanitaria alla popolazione.

Nelle pagine di questo libro leggerete tante testimonianze, di politici, amici, intellettuali, amministratori locali che hanno conosciuto Vittorio Sora. Ciascuno di noi ha i propri motivi per avere accettato di scrivere un suo ricordo, e io l’ho fatto per una precisa ragione. Vittorio Sora, a cui ho voluto molto bene, non è stato solo un politico e una persona amabile ma, nel corso della sua esperienza politica, è stato anche un punto di riferimento per alcuni processi che allora, nel momento in cui erano in atto, non è sempre stato possibile identificare, eppure di cui oggi si comprendono a pieno la portata e il rilievo. Contrariamente ad altri di cui leggerete la testimonianza, non lo conoscevo da una vita, non eravamo andati a scuola assieme. Avevo già quasi quarant’anni quando l’ho incontrato e lui solo qualcuno di meno. Eravamo entrambi basisti e mi era capitato di ascoltarlo parlare durante le riunioni che come corrente tenevamo in via Mercato. 

Vittorio conosceva i suoi della Bassa, li rappresentava come il più fiero dei suoi componenti – e li avrebbe rappresentanti in Regione per vent’anni – ma sapeva anche in quale direzione si stava muovendo lo sviluppo sociale e, per quanto nelle sue parole si respirasse la terra delle campagne e l’aria del fiume a cui tornava ogni sera, era consapevole che il mondo che avevano conosciuto i suoi avi non era quello in cui viveva lui e soprattutto non era quello in cui avrebbero potuto vivere i suoi amici agricoltori. Prendendo a prestito l’espressione ricordata da Mario Mauri, “bisognava cambiare il carro, non solo i cavalli”. Per questo lo avevo chiamato a fare parte della mia Giunta come assessore all’Industria e al Commercio: in lui avevo visto quell’entusiasmo verso il futuro, quel desiderio di farsi carico di processi che avrebbero stravolto la politica sul territorio così come la conoscevamo allora.

Facendo politica, e io me ne sono occupato attivamente per parecchio tempo, almeno fino a quando ho capito che non era più quello il fulcro di ciò che accade, capita di incontrare tanta gente, donne, uomini, esperti, maestri, ma non succede spesso di incontrare un personaggio. Vittorio lo era. Con la sua corporatura importante, la voce alta e la risata fragorosa che si annunciava già dal fondo dei corridoi del Pirellone, che qui ben descrive la sua compagna di ufficio Patrizia Toia. Il magnetismo carismatico di Vittorio era parte della sua azione politica e trascinava colleghi, compagni di partito, amici, e le forze che caratterizzavano Brescia e le sue campagne. Le campagne, appunto. Per Vittorio, si trattava naturalmente di non affidare solo alla dimensione etica della solidarietà e a quella morale di uno sforzo di volontà la missione del cambiamento, ma di radicarla in riforme di struttura. Vero e proprio fulcro di una passione politica, la campagna – bresciana sì, ma anche lombarda e padana – era prima di tutto un reticolo di cose, rapporti e persone. In questo senso era costante il piacere che Vittorio coltivava nel sottrarre questa realtà sociale e culturale a visioni stereotipate o astratte per riconsegnarla alla verità del vissuto, come ricorda in questo libro anche Mario Capanna.

E non deve stupire il fatto che a commemorare un autorevole rappresentante della sinistra democristiana lombarda, tra i tanti amici – amici di fatto e amici del partito tra i quali il Sora ha sempre cercato di far sentire chiara la propria voce, anche quando suscitava avversione – compaia anche il leader del movimento studentesco poi divenuto consigliere regionale di Democrazia Proletaria. Come ho scritto in precedenza, a Vittorio gli altri piacevano. Perché già era un basista, ma di un basismo aperto, pronto ad ascoltare e capire anche le idee degli altri, avversari compresi. Anzi, direi soprattutto quelle di sinistra. Quando poi si trattava di decidere, e ci si sedeva vicino per affrontare insieme un problema e capire cosa fare, anche lì era sempre lui. Voleva dentro tutto. Tutto quello che poteva starci per ottenere di più, per più gente, anche per gli altri. Come si faceva a non volergli bene!