Roma, 14 apr. (askanews) – La sfida a Donald Trump, alla sua guerra dei dazi, è lanciata. Il presidente cinese Xi Jinping è arrivato oggi ad Hanoi per un viaggio in tre paesi del Sudest asiatico (Vietnam, Malaysia e Cambogia) che punta a tirare le fila di una strategia di risposta che sembra orientarsi su due direttrici principali: verso sud e verso ovest, per una maggiore penetrazione nell’Asia sudorientale e un rinnovato rapporto con l’Europa.
La strategia di risposta a Washington da parte di Pechino è quella di solidificare i rapporti politico-commerciali con tutto il resto del mondo che pesa di più economicamente. Lo ha detto oggi in maniera piuttosto chiara il vicedirettore dell’Amministrazione generale delle dogane cinesi, Wang Lingjun, durante una conferenza stampa. “Il ricorso da parte del governo statunitense all’abuso dei dazi ha avuto un impatto negativo sul commercio globale, incluso quello tra Cina e Stati uniti” ha affermato Wang. “La Cina – ha proseguito – promuoverà costantemente una maggiore apertura verso l’esterno e svilupperà una cooperazione commerciale ed economica vantaggiosa e di reciproco beneficio con tutti i paesi”.
Questo fatto appare evidente dalla mossa fatta da Xi avviando questo tour nei paesi Asean, che sono sempre più legati commercialmente a Pechino. Il presidente cinese si presenta ad Hanoi come campione del libero commercio e paladino di una globalizzazione, che ha fatto la fortuna dei paesi della regione, a un Sudest asiatico preoccupato dai dazi di Trump, i quali potrebbero colpire la sua fiorente industria manifatturiera frutto di anni di delocalizzazioni da parte dei grandi conglomerati occidentali. Nello stesso tempo, l’alternativa cinese rappresenta una leva di trattativa per nazioni, come il Vietnam, in procinto di iniziare negoziati sui dazi con Washington.
Xi ha ribadito oggi la sua netta condanna della politica commerciale di Trump. “La guerra commerciale e la guerra dei dazi non hanno vincitori, e il protezionismo non ha futuro. E’ essenziale difendere il sistema multilaterale del commercio, salvaguardare la stabilità delle catene industriali e produttive globali e mantenere un ambiente internazionale aperto e cooperativo”, ha affermato il numero uno di Pechino nel discorso di presentazione della sua visita in Vietnam.
La ricaduta politica che Pechino vorrebbe cogliere, dopo il ritorno alla Casa bianca di Donald Trump, è quella di un ulteriore avvicinamento della regione dell’Asia sudorientale alla Cina, a partire del riottoso paese-fratello comunista del Vietnam, che da sempre gioca una partita autonoma e negli ultimi anni ha tenuto un po’ il piede in due scarpe: quella cinese e quella americana. Xi ha detto oggi che la “comunità di destino sino-vietnamita” entra con questa visita “in una nuova fase di sviliuppo”. Non a caso questa è la prima uscita ufficiale del presidente cinese all’estero del 2025, a segnare l’importanza del viaggio.
D’altronde l’area dell’Associazione delle nazioni del Sudest asiatico ospita 660 milioni di abitanti e ha un’economia che cuba qualcosa come 3.800 miliardi di dollari. Un piatto ricchissimo, che Pechino non intende lasciare non presidiato, anche perché per la Cina l’area Asean è il primo partner commerciale. Secondo i dati diffusi oggi dall’Agenzia delle dogane cinese, nel primo trimestre del 2025 il commercio tra Cina e i paesi della regione è salito a oltre 234 miliardi di dollari, con un aumento di oltre il 7% su base annua. Parliamo di quasi il 17% del commercio estero globale per la Cina. Per oltre il 90% si tratta di scambi che si situano nel settore manifatturiero.
La penetrazione di Pechino nella regione Asean è sempre più incisiva, anche se permangono punti di difficoltà, a partire dalle rivendicazioni di sovranità sulla gran parte del Mar cinese meridionale, che mettono la Repubblica popolare in rotta di collisione con diversi paesi, a partire dalle Filippine, ma anche lo stesso Vietnam. Tuttavia, in questo momento, ad apparire in alto nell’agenda dei leader è proprio il tema del commercio.
Il viaggio di Xi va letto, inoltre, anche in una prospettiva più ampia. La muscolare politica dei dazi di Trump, infatti, ha messo in ambasce non solo Pechino, ma anche alleati storici degli americani, come il Giappone, la Corea del Sud e l’Europa. Pechino non ha disdegnato di far passi verso queste grandi realtà economiche. Gli occhi di tutti saranno puntati nei prossimi giorni sulle trattative prioritarie che gli Usa avvieranno a Washington in prima istanza con Giappone (e forse anche Corea del Sud), ma il terreno è fertile per l’azione cinese.
L’onda di questi cambiamenti si sta percependo anche nella modulazione dei toni della leadership europea: l’ex falco Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, ha fortemente ammorbidito i toni verso Pechino. E dopo la metà di luglio dovrebbe volare in Cina, assieme al presidente del Consiglio europeo Antonio Costa, per discutere di questi cambiamenti politico-economici in corso nella configurazione mondiale del potere. Trump sta consentendo, insomma, a Xi di giocare una partita a tutto campo. Che però è appena cominciata. (di Antonio Moscatello)