A caldo, dietro l‘impennata d‘orgoglio di Di Maio, s‘è voluto scorgere l‘animosità di un personaggio politico in caduta libera, noncurante persino dei riflessi che questa sua posizione arcigna e polemica, ai limiti della provocazione nei riguardi del Pd, può avere sull‘accorta navigazione del Presidente incaricato. Più che l’orgoglio peserebbe dunque la paura: nessuno è disponibile a scommettere sul futuro di Si Maio. Troppi segnali ne descrivono l‘isolamento in perfetta coincidenza con il ritorno in scena del fondatore del Movimento. Il vero leader, in barba alle ambizioni del giovane super-ministro, torna ad essere il comico genovese.
Da qui i commenti sull‘imbarazzo di Conte, chiamato a ricucire lo strappo dell‘avventuroso Di Maio e a ristabilire la fiducia nei rapporti tra i due partiti della nascente compagine di governo. Tutto farebbe pensare, insomma, che l‘oggetto nascosto del contendere sia la questione della vice-presidenza: Zingaretti ne rivendica la titolarità esclusiva per un esponente targato Pd. Nell’ottica del secondo partito della coalizione, la discontinuità si dovrebbe applicare anche al vertice politico dell‘esecutivo, dal momento che Conte non è più definibile “neutro” come nel 2018 si stabilì tra Salvini e Di Maio.
Stamane, intervistato da “Repubblica”, ne parla con schiettezza mista a irritazione Luigi Zanda. Il monito però non risparmia lo stesso Conte, forse interessato nascostamente a preservare un ruolo di terzietà. “La storia – dice il tesoriere del Nazareno – del rapporto del professor Conte con la politica lo indica come un rappresentante dei 5 Stelle: è stato eletto al Consiglio di Stato su indicazione e con i voti dei 5 Stelle e indicato dai grillini per il Conte 1 e ora per il Conte 2 e Casalino è un suo stretto collaboratore”. Ecco allora che la vice-presidenza unica, nel quadro così delineato, spetta di diritto al Partito democratico.
Sta di fatto, però, che Conte propende a ricercare per sé uno spazio di manovra meno angusto di quello garantito dai grillini, oggi disorientati e indeboliti. Per questo tende a sfuggire alla logica dell‘incasellamento che Zingaretti immagina di apparecchiare in conformità con le proprie abitudini di capo operaio della fabbrica di partito. Se rimanesse lo schema adottato dai gialloverdi, sebbene con il rafforzamento della funzione direttiva del capo di governo, la nomina di due vice-presidenti corrisponderebbe alle superiori aspirazioni di Conte. In realtà, egli vuole andare oltre il M5S per andare oltre il morente bipolarismo, scomponendo le attuali formazioni politiche e mobilitando un elettorato riottoso, avvinghiato da troppo tempo al filo d’erba dell’astensionismo.
È l’antagonista più insidioso del Partito democratico.