I dati diffusi ieri dall’Istat sul mercato del lavoro, insieme a quelli di Eurostat sull’occupazione europea, mettono in luce una dinamica fragile: l’Italia sembra restare sospesa, senza capacità di consolidare i passi in avanti e con il rischio di scivolare indietro. È questa l’immagine che emerge dalle statistiche più recenti, un’istantanea che non autorizza trionfalismi.
Occupazione ferma, divario aperto
Nel secondo trimestre 2025, il tasso di occupazione nella fascia 15-64 anni non ha mostrato variazioni di rilievo. In sé, la stabilità potrebbe sembrare rassicurante, ma nel confronto europeo diventa un campanello d’allarme. Eurostat colloca l’Italia al 64,4 per cento nella fascia 20-64 anni, contro una media UE che supera il 76 per cento e un livello tedesco che rimane oltre l’81. È un ritardo cronico che rivela la fatica del nostro sistema a includere in modo pieno donne, giovani e lavoratori maturi, cioè proprio le categorie che altrove contribuiscono a sostenere la crescita.
Il Pil segna il passo
Il quadro non migliora sul fronte della produzione. L’economia italiana, nel secondo trimestre, ha registrato una flessione dello 0,1 per cento rispetto al trimestre precedente. Nello stesso periodo l’Eurozona, pur frenata, ha segnato un piccolo +0,1. Anche la Germania arretra (-0,3), ma resta più attrezzata per reggere l’urto di un contesto internazionale appesantito dai dazi americani e dal rallentamento del commercio globale. La differenza sta nella base industriale e nella capacità di investimento: più solida per Berlino, più fragile per Roma.
Il Sud oltre il 50 per cento
Il governo ha scelto di presentare come prova di successo il superamento, per la prima volta, della soglia del 50 per cento di occupazione nel Mezzogiorno. È un risultato che merita di essere registrato, perché testimonia progressi reali in un’area tradizionalmente svantaggiata. Tuttavia, non può bastare a cambiare il quadro complessivo. La forbice territoriale resta ampia e il divario tra Nord e Sud continua a essere uno dei principali freni alla crescita nazionale.
Il rischio della normalità dello “zero virgola”
La vera domanda è se l’Italia possa davvero permettersi di convivere con una crescita quasi nulla. La stabilità politica, di cui il governo si fa vanto, rischia di trasformarsi in un’arma spuntata se non viene accompagnata da produttività, investimenti e riforme capaci di liberare energie. Celebrando piccoli primati si finisce per perdere di vista la sostanza: senza un cambio di passo, il Paese resterà ai margini della competizione europea.
Come osserva stamattina Il Foglio (“L’Europa cresce piano e l’Italia è ferma”), il vero nodo sta tutto qui: stabilità tanta, crescita poca.